(prendete questo quadro di Marc Chagall e immaginate che a descriverlo sia uno dei protagonisti...)
Il
mio nome è Giorgio anche se i tizi che ho qui intorno mi chiamano
Georgiy.
Ma
io sono Giorgio, Giorgio Bernardelli, di professione “maschera”.
Pure
mia mamma, Vittorina Andreoli in Bernardelli, faceva la “maschera”,
una maschera importante, pensate che era protagonista in un quadro di
Lorenzo Lippi: Allegoria della simulazione.
“Giorgio”,
mi ripeteva spesso la mamma, “noi maschere dobbiamo essere serie,
avere un contegno, se vogliamo ambire a entrare in dipinti di
qualità, di artisti eccelsi. Se ti comporterai con dignità, se
sarai coscienzioso, affidabile, riflessivo, ti ritroverai in un’opera
del tuo omonimo, Giorgio, Giorgio Morandi”.
“Mamma,
Morandi dipinge solo bottiglie, ciotole, vasetti, di maschere non se
n’è vista manco una!”
“Tu
sarai la prima ma, mi raccomando, serio, coscienzioso e affidabile!”
“E
se fossi frivolo, incosciente e inaffidabile?”
“In
quel caso finiresti in un casino che metà basta, un mischione in
compagnia di scatole, giochi per bimbi, manichini, castelli e
locomotive, un frullato metafisico di un altro Giorgio, Giorgio De
Chirico! Non te lo auguro, figliolo mio.”
Cara
mamma, magari fossi finito in un De Chirico!
Il
mese scorso, ricordo che era un mercoledì di pioggia intensa, vado a
letto alle 9 e un quarto, dopo aver bevuto la camomilla, e aver
riempito una boule d’acqua calda, ho i piedi sempre freddi, la
boule mi dona un piacevole tepore, e mi addormento in un battibaleno.
Notte
di lungo e rigenerante riposo.
Al
mattino però, inaspettata sorpresa, il risveglio è un risveglio da
incubo: scomparsa la boule, svanito il letto, volatilizzata casa mia,
mi ritrovo in un dipinto che raffigura una terra buia, fredda,
ghiacciata, con strane creature che mi circondano e mi rivolgono
parole incomprensibili: “Maskirovat, Prestuplanye, Nakazenye, Mir,
Vonya, Perestroika...” e io, non capendo, provo a presentarmi:
“Giorgio, mi chiamo Giorgio, Giorgio Bernardelli.”
“Georgiy”
un sorriso di riconoscimento nelle loro espressioni: “Georgiy
Bernaderskey!”
“Giorgio,
no Georgiy” provo a correggere, ma nulla da fare:
“Da Georgiy, da!”
“Da Georgiy, da!”
Da
allora sono Georgiy.
La
storpiatura del nome è il minore dei mali.
Ben
peggiore è il gelo che ammanta il quadro.
Un
gelo insopportabile.
Almeno
fossi al riparo, dentro una delle catapecchie che il pittore ha
inserito. No, sono fuori, appeso a una parete di una casupola in
mattoni con tre finestre piccole piccole.
Alla
mia destra i protagonisti dell’opera, due insignificanti creature
avvolte in un alone bianco (una sorta di orecchio composto da
particelle di nevischio) che provano a riscaldarsi con la passione
del loro sentimento.
Lei,
ho scoperto che si chiama Ludmilla, è una venditrice di fiori,
bruttarella a essere onesti, che al pari del sottoscritto non è
fatta per le basse temperature. Blu cianotica, dovrebbe a breve
tirare le cuoia (non glielo augurerei se non fosse che, schiattato il
personaggio femminile, l’intera opera potrebbe liquefarsi
permettendomi di traslocare in un altro dipinto).
Lui,
Vasiliy, deve il colorito verdastro a un eccesso di bile nel sangue,
sintomo di un fegato malmesso (d’altronde quando ti tracanni una
bottiglia di vodka tutte le sere…). Il pittore, non faccio il nome
per non svergognarlo davanti a voi lettori, ha pensato bene di
riportare solo il volto bilioso di Vasiliy (una vodka dietro l’altra
e alla fine, come dire, il nostro non è un figurino, la sola pancia
avrebbe messo in ombra metà del dipinto).
Lungo
buona parte della cornice si trovano dei musicisti, un
violoncellista, due flautisti e un violinista rosso fiammeggiante,
con un cappello nero sulla testa, che ci osserva dall’alto.
Anatoly, questo il suo nome, sulle prime mi aveva dato qualche
speranza, quando, vedendomi sconfortato, mi chiese se poteva suonare
qualcosa per me.
“Sì,
magari il Concerto per Violino in Re Minore, opera 35, di
Tchaikovsky!”
“Da,
da, io conoscere Piotr, suonare lui per te!”
Era
pure partito bene, poi, verso la metà del Primo Movimento, le note
dello strumento furono deturpate da un fragoroso, strepitante peto,
una rumorosissima e puzzolentissima flatulenza proveniente dal sedere
dell’esimio violinista che ridendo sguaiato, di fronte alla mia
costernazione, precisò:
“Concerto
per Violino e Peti del grandissimo Piotr, Proooooot!”.
Potrei
parlarvi pure degli animali, pesci, uccellini, galli, cavalli, che
completano il “capolavoro”, rendendolo simile a un minestrone
circense, ma non mi dilungherei oltre, l’umore è già basso di
suo, insistere nel descrivere significa accentuare la malinconia,
favorire la mia depressione.
La
chiudo qui.
Ricordo
solo che mi chiamo
Giorgio, Giorgio Bernardelli, di professione “maschera”, una
professione che sin da piccolo ho deciso di intraprendere, per
seguire le orme materne.
Col
senno di poi, forse,
avrei
fatto meglio a scegliere ragioneria.
1 commento:
Boh, a me è venuta in mente questa.
https://www.youtube.com/watch?v=7CQpvc8quQ8
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