Posso
dire di aver avuto nel complesso un’infanzia felice.
I
primi anni di vita, da quando uscii pigramente dalla pancia di mia
madre, fino all’ultimo anno di Asilo Parrocchiale, mi hanno
lasciato un ricordo di relativa serenità. Poi...
… poi
l’ingresso nella Scuola Elementare di via Lenin (civico numero 4),
scolaretto con grembiulino nero d’ordinanza, classe prima, sezione
F, e la conoscenza della maestra (l’unica che ci venne assegnata se
si esclude una suora laica che occupava devota la cattedra nell’ora
di religione): la signorina Elvira Bei Monti.
La
maestra Elvira era all’epoca (sono passati una quarantina d’anni)
una neolaureata di origini bresciane, da qualche anno trasferitasi a
Milano, alta, fisico slanciato, un viso gradevole (verdi gli occhi,
neri i lunghi capelli) e, su tutto, una forte personalità che le
permetteva di avere il controllo assoluto dei timidi pargoli che
l’avrebbero seguita, con sudditanza totale, nel quinquennio
successivo.
La
classe prima, sezione F, era regno incontrastato della giovane
insegnante, un regno caratterizzato da un clima di tensione
permanente data dalla sensazione che si aveva, come bimbi, di essere
costantemente controllati da una figura a metà strada fra
l’autorevole (talvolta) e l’autoritario (spesso).
La
Bei Monti univa al difetto di sovrastare con sguardo severo (rari i
suoi sorrisi) le testoline degli scolaretti che, adoranti e timorosi,
la osservavano dal basso verso l’alto, una sadica predisposizione a
dividere i proprietari delle testoline in alunni a lei simpatici (il
più delle volte risparmiati dai suoi cazziatoni) e alunni
antipatici, sui quali era solita infierire oltre il dovuto.
Sia
chiaro, nessuna violenza fisica, ma una costante pressione
psicologica e una sequenza di piccole (o grandi?) ingiustizie e
umiliazioni.
Ora,
non sono in grado di spiegare il motivo della profonda ostilità che
la bresciana mostrò da subito nei miei confronti (del perché io le
stessi, tecnicamente parlando, sulle palle). Forse non gradiva il mio
nome particolare (PNV, PuroNanoVergine, era differente dai più
banali Marco, Andrea, Luca, Stefano…), oppure non sopportava un
bambino insicuro, tendente al piagnucoloso (lei, sempre volitiva,
poco incline a qualsiasi slancio empatico) o ancora perché aveva
notato l’antipatia, ricambiata e mascherata da cortesia di
circostanza, che mia mamma non le nascondeva (negli incontri fra
insegnante e genitori), della serie… le colpe delle madri ricadano
sui figli.
Qualunque
fosse la ragione, la Bei Monti iniziò a sottopormi a una sequela di
colpi bassi (molto bassi: ero un frugoletto di un metro e due
centimetri) che andarono a minare la mia già scarsa autostima.
Ricordo
una prova di disegno libero (lei così dotata nel disegnare e
dipingere ci teneva che anche noi mostrassimo il medesimo talento)
durante la quale, dopo una ventina di minuti di foglio lasciato in
bianco (non avevo la più pallida idea di cosa inventarmi tenendo
conto che, in ogni caso, mi sarebbe mancata la minima attitudine per
realizzarlo) le chiesi se potevo andare in bagno per fare pipì.
Permesso
accordato.
Io
esco dalla classe, mi fiondo nel gabinetto, inizio a piagnucolare per
l’impossibilità di superare il compito affibbiato, quando, dopo
soli pochi secondi, la Bei Monti compare sulla porta del bagno, mi
ordina di muovermi e rientrare in classe, visto che piangere non mi
avrebbe aiutato a terminare il disegno. Un rientro a testa china,
gocce salate che dalle guance cadevano regolari sul pavimento, lo
sguardo di commiserazione o forse di ulteriore condanna dei compagni,
solidali con la posizione della maestra, che mi rinnova l’esortazione
a darmi una mossa smettendo di frignare come una femminuccia (il
permesso per andare in bagno le era servito per potermi
riaccompagnare, piangente e vergognoso, in classe).
La
perfidia persecutoria della Bei Monti si manifestava con maggior
evidenza nelle situazioni opposte a quella appena descritta, quando
non solo ero in grado di soddisfare le sue richieste, ma mostravo
un’abilità particolare nel farlo.
Torneo
di Pallaprigioniera della scuola.
La
Maestra doveva decidere la composizione delle due squadre che
avrebbero partecipato alla gara. Il presupposto era di creare una
formazione dei bambini più bravi della classe e una di quelli meno
dotati (Team A, destinato a vincere il torneo, Team B che doveva
perlomeno non sfigurare). Presupposto che evidenziava l’istinto
competitivo della Bei Monti la quale, nel dividere in due gruppi gli
alunni, sulla base del solo criterio meritocratico, avrebbe generato
dei complessi d’inferiorità nei malcapitati della Squadra di
Schiappe.
Madre
Natura mi aveva reso geneticamente adatto alla pallaprigioniera:
piccolo e scattante era quasi impossibile colpirmi con la palla.
Nelle gare interclasse ero sempre l’ultimo a esser fatto
prigioniero. Una scelta logica, sensata, mi avrebbe visto capitano
del Team A, ma la Bei Monti mi mandò dritto dritto nella formazione
B preferendomi una compagna di classe, Daniela Mastruzzi, impedita
come poche (totalmente scoordinata nei movimenti, bradipa nel tentare
con insuccesso di evitare le palle avvelenate nemiche) che aveva però
la fortuna di essere figlia di una mamma da sempre amica
dell’allenatrice dispotica (le due erano pappa e ciccia).
Potrei
proseguire con altri esempi, ma il post rischierebbe di annoiare (se
già non l’ha fatto).
Aggiungo
il solo episodio che segnò la rivincita del piccolo PNV e la
dimostrazione che, per quanto caratterialmente debole e incline alla
lacrimazione, non mancavano le occasioni nelle quali mostravo di
saper essere, se era il caso, elegantemente stronzo.
Terza
elementare: gara di tabellina scolastica.
Ogni
classe doveva eleggere un proprio rappresentante, abile in
matematica, che si sarebbe confrontato con i bimbi delle altre classi
in una competizione, per l’appunto, di tabelline.
La
Bei Monti, a malincuore, dovette scegliere il sottoscritto tenuto
conto che in tutta la terza F non c’era un compagno in grado
neppure alla lontana di avvicinare la mia predisposizione a far di
conto (no, questa volta Daniela Mastruzzi non mi avrebbe rimpiazzato:
a malapena terminava di ripetere, in un tempo stimato intorno ai 18
minuti abbondanti, la tabellina del 2).
Se
da un lato le rodeva il culo (tecnicamente parlando) dover ricorrere
all’odiato PuroNanoVergine, dall’altro la maestra, in caso di mia
vittoria (molto probabile: i bookmaker mi quotavano a 1,25) si
sarebbe potuta vantare coi colleghi di quanto fosse brava, lei, a
insegnare matematica ai propri alunni.
Il
torneo era basato su duelli a eliminazione diretta (16 i
partecipanti) dove il giudice di gara annunciava a sorpresa 6
tabelline “semplici” (“3x2, 8x7, 9x9, 5x0…”) e i due
contendenti dovevano dire, ad alta voce, il risultato relativo. Il
punto andava al più veloce dei due bimbi che avesse azzeccato la
moltiplicazione. La prima prova era seguita da un’unica domanda,
dal valore di ben tre punti, una tabellina “complicata” (del tipo
“18x13”) che poteva da sola determinare l’esito dello scontro.
Vista la “complicatezza” del calcolo proposto, se lo scolaro più
rapido non avesse dato la risposta giusta, era data facoltà al
secondo di tentare a sua volta. Nel caso di doppio errore, i 3 punti
sarebbero stati assegnati al concorrente che si fosse avvicinato
maggiormente al valore esatto.
Come
previsto, superai di slancio ottavi, quarti e semifinali.
La
finalissima mi contrapponeva a tale Giangiacomo Felicetti, terza
A, un fighettino dall’aria di dandy potenziale, spocchioso come
pochi, figlio di un imprenditore del quartiere (il babbo aveva un
fabbrichetta di tazze per water).
Le
prime sei tabelline terminarono con un punteggio di parità fra noi
due (io lo superai nel 7x7, 3x9, 8x5, lui mi anticipò sul 6x4, 2x5,
9x1).
La
domanda finale vide il giudice (il vicepreside Sferruzza, un
vecchietto sugli 88 anni, che sparava le tabelline a suon di urla, a
causa della sordità che lo affliggeva da circa un ventennio)
declamare un perentorio: “33 x12”.
“330!”
esclamò trionfante il Felicetti.
Brusio
nel corpo insegnante che ripetè in coro, scuotendo la testa in segno
di errore, a uso e consumo delle orecchie poco ricettive del
vicepreside, il: “330!” .
“No,
non ci siamo, 330 è sbagliato” confermò il giudice.
I
pochi secondi necessari al responso negativo mi avevano permesso di
calcolare, con relativa calma, il risultato della moltiplicazione.
Un
396 sulla punta della lingua che avrebbe sancito il personale trionfo
(miglior mente matematica dell’intera scuola elementare) al quale
si sarebbe accompagnato l’analogo trionfo della mia “adorata”
maes… come?
La
vittoria di PNV a vantaggio di quella dell’aguzzina bresciana?
La
Bei Monti che avrebbe sorriso, scuotendo la chioma nera e sgranando
gli occhioni verdi, campionessa scolastica di fascino femminile
giovanile, di fronte alle colleghe (invidiose) e ai colleghi
(arrapati)?
No.
A
malincuore avrei rinunciato alla gloria pur di non rendermi complice
della gloria che avrebbe illuminato la stronza che mi perseguitava da
tre anni.
“999!”
dissi, fingendo un’improvviso rimbecillimento aritmetico.
Risate
del pubblico di bambini che assisteva allo scontro.
Sconcerto
dei professori.
Espressione
persa (di chi non ha colto il suono, ma comprende, dalla reazione
degli altri, che PNV ha proferito una vaccata colossale) dello
Sferrazza.
Sguardo
d’odio della Bei Monti, che si avvicina al sottoscritto (il resto
della massa ad accorrere verso il Felicetti trionfante), lo prende
per il braccino destro, lo strattona portandolo all’ingresso della
sala mensa (luogo dove la gara si era svolta) e gli sibila:
“Maledetto
PNV, lo hai fatto apposta, Hai pure finto di essere nel pallone, nano
bastardo che non sei altro. Ma non pensare di passarla liscia. Sei
solo in terza, mancano due anni abbondanti. Due anni nei quali
soffrirai le pene dell’inferno. Possa morire all’istante se non
sarà così!”.
La
Bei Ponti, come temevo, non morì all’istante...
13 commenti:
Ri-Vincita!
Sebbene la vincita vera e propria sarebbe stata sicuramente una Bei Monti per terra stecchita XD
@La spettinata
La Bei Monti è viva, sulla sessantina, un po' inchiattonita.
Ora la posso guardare dritto negli occhi (vista da adulto, non come PNV, mi appare molto meno imponente di quanto la subissi da bambino).
Non so se sono l'unico, ma per tutta la durata dell'ultima parte del post mi sono sentito fortunato a sapere solo le tabelline dell'uno, del due, dello zero e del dieci. ^^`
Ok, in ordine so anche quella del nove. E se mi impegno tanto, quella del cinque. :)
@H P L
E quella del 7?
Fra tutte quante è la più bastarda :-)
@ PNV
Appunto che non la so. ;)
Grembiule nero alle elementari?! Ma che tristezza, io ce l'avevo nero alle medie. A scacchetti bianchi e rossi (fiocco rosso) alle elementari. E che ci creda o no, anch'io ho avuto la maestra Monti, in prima elementare: adorabile, ne ho un bel ricordo. Purtroppo, andò in pensione l'anno successivo e subentrò una stronza. Eh la scuola, maestra di vita. Quanto alla matematica, ricordo ancora con orgoglio il mio unico 10, beffando pure il secchione della classe. Ah, son soddisfazioni ...
@Silver Silvan
Beffare il secchione della classe è il top dei top :-)
Alle medie non avevamo il grembiule (certo, uno a scacchetti bianchi e rossi un po' fa invidia).
Oddio. Non riesco neanche ad immaginare che si possa scegliere di essere questo tipo di maestra.
E lo dico con cognizione.
Amelie
@Amelie
Sono d'accordo con te, ma ce ne sono (ho un po' caricato, ma quanto descritto è avvenuto, oltre ad altri episodi che per brevità di post non potevo inserire).
Per i maschi, bianco e azzurro: e fiocco azzurro. Ci si vede? Sempre meglio del nero. Ho letto solo pochi mesi fa il libretto scolastico coi profili di valutazione dei vari insegnanti della scuola dell’obbligo. È stato istruttivo, avrei voluto trovarlo prima.
@Silver Silvan
Però anche il nero (o total black come direbbero gli stilisti) con un teschio bianco altezza cuore non stona.
Cosa riportava il libretto? (se posso saperlo)
Riportava che ero molto brillante. Non me lo ricordavo. Sa, è passato molto tempo.
@Silver Silvan
Ma la immagino piccola e pestifera (confermo il brillante) :-)
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