sabato 30 luglio 2022

Piero Mariucci

Quando ero un bambino ricordo il Mariucci che d’estate usciva dopo pranzo con la bici, girovagava a Milano e dintorni per tutto il pomeriggio e tornava all’ora di cena, il corpo magro, una canottiera bianca, la pelle che diventava sempre più scura col passare delle settimane, il viso abbronzato e il riporto dei capelli, ridicolo a dire il vero, che pretendeva di celare la pelata.

A vederlo a zonzo per intere giornate mi chiedevo che tipo di lavoro facesse: mio papà, e più in generale i papà dei miei amici, nei giorni feriali il pomeriggio erano chi in fabbrica, chi in ufficio.

A precisa domanda la mamma mi rispose che il Mariucci era uno sfaticato, un pelandrone che poco dopo i 40 anni si era licenziato e che ora viveva solo grazie ai soldi che ogni mese le sue tre sorelle gli elargivano, sorelle che abitavano a Milano e che non si facevano mai vedere di persona nel nostro condominio di Cusmenate Inferiore.

I rapporti del Mariucci con gli altri condomini erano ridotti ai minimi termini. Ogni tanto si fermava a parlare con il Brambilla, il custode del palazzo, discussioni legate sempre al calcio, Piero Mariucci bianconero, l’altro di fede nerazzurra.

Tolto il custode, dava poca confidenza a chiunque, un saluto rapido di controvoglia e talvolta delle litigate, in particolare per i bambini che schiamazzavano nel cortile e che Mariucci non digeriva (abitava già allora al pianterreno e non sopportava il rumore del pallone che a volte colpiva il muro esterno al suo bilocale).

Era solito salutarmi accennando un sorriso che ricambiavo a fatica: mi intimoriva, percepivo in lui un carattere nervoso, spigoloso, dal quale era meglio stare se possibile alla larga.

Ipotesi confermata quando un giorno osai intromettermi nel consueto dialogo fra il Mariucci e il portinaio, una chiacchierata meno amichevole del solito, un piccolo bisticcio dopo un Inter – Juve di campionato, i due discutevano di un rigore regalato ai bianconeri e io, juventino come il Mariucci, provai a sostenerlo nel botta e risposta con il Brambilla con un timido: “Pure la moviola di Sassi ha confermato che il rigore c’era”, interrotto dal ciclista fumantino: “Che ne puoi sapere tu, sei un bambino, vai a giocare, va!”.

Un rimprovero d’inaspettata durezza nel tono, tanto più che stavo perorando la medesima causa del Mariucci. Ricordo che lasciai i due con gli occhi lucidi. Il giorno dopo incrociai il custode che mi consolò dicendo: “Non farci caso, il signor Piero è un tipo particolare. Fa così anche con i grandi.”

Che fosse particolare mi era chiaro, per esempio avevo notato il fastidio che il Mariucci aveva per il contatto fisico altrui. Una volta il Brambilla gli aveva dato una piccola pacca sulla spalla, accompagnata da un: “Ma va là!” sempre legato a qualche diverbio pallonaro, e di rimando il Mariucci si era fregato la medesima spalla con la mano, come se volesse scacciare la “sporcizia” data dal tocco del custode, per allontanarsi subito dopo borbottando.

Con il passare degli anni, il carattere del mio fustigatore peggiorò, in particolare dopo il pensionamento del custode, unico suo interlocutore abituale.

L’osservavo sempre a bordo della bici nera, con la canotta bianca (a volte però il bianco virava verso il giallino, segno di un lavaggio poco frequente) e i pantaloni lunghi, anche nelle calde giornate di luglio e agosto, con evidenti segni di sporco, al pari di un paio di mocassini, sempre i soliti, che spingevano sui pedali.

Io, nel frattempo, da bimbo ero divenuto adulto, un giovane uomo che da poco aveva terminato gli studi ed era in cerca del primo lavoro. L’ansia data dalla difficoltà nel trovarlo mi portava a chiedermi come avesse potuto il Mariucci mollare tutto, quarantanne, vivendo dell’elemosina delle sorelle. Di queste si era saputo che la maggiore era morta con probabile conseguente diminuzione degli introiti del ciclista fannullone.

Anche il condominio aveva subito mutamenti: via via era cambiato il “panorama umano” del palazzo, con la presenza di numerose famiglie non italiane, in particolare cinesi e maghrebine.

La cosa aveva contribuito a inasprire la misantropia del Mariucci che già di suo, come detto, non reggeva i bambini (pure uno timido e rispettoso come il sottoscritto) e men che meno digeriva lo schiamazzare di soggetti dalla pelle non bianca che, fra l’altro, faticavano a comprenderlo quando lui li aggrediva verbalmente: “Andate a giocare in un altro cortile, in un altro paese, andatevene via, siete venuti a rovinarci la vita, a toglierci il lavoro, a portare malattia e sporcizia!”.

Ora, che fosse proprio lui a sbraitare di lavoro rubato e sporcizia, dal basso del suo essere disoccupato pluridecennale e trascurato nell’abbigliamento, era il colmo.

La mancanza di pulizia era percepibile quando mi capitava d’incrociarlo dopo le sue consuete (ora meno frequenti) pedalate milanesi. Ci si scambiava un saluto accennato mentre il mio olfatto veniva deliziato dai suoi effluvi non proprio amichevoli.

Un ulteriore salto in avanti nel tempo mi vede adulto e occupato (per fortuna con un lavoro a tempo indeterminato, per quanto non stabilissimo) e il Mariucci prossimo agli 80.

Abbandonata la bici, oramai inservibile visto lo stato pietoso nel quale si trovava, lo strano ciclista si è quasi del tutto eclissato alla vista degli altri condomini. L’ultima volta che mi è capitato di vederlo risale a inizio anno, il Mariucci entrava con passo lento e claudicante, una mascherina chirurgica che da azzurrina aveva assunto un colorito giallognolo per il troppo uso, nella propria abitazione. Qualche minuto dopo la sua voce, insolitamente potente vista l’età, urlava imprecazioni verso destinatari sconosciuti (i bambini sono quasi del tutto scomparsi dal palazzo, i pochi superstiti non scendono più in cortile per dare calci a un pallone).

Da allora più nulla, fino a un lunedì di due settimane fa.

Dopo cena, sdraiato sul divano ascolto con poca attenzione il consueto dibattito sulla guerra, quando d’improvviso sento un bussare deciso e rumoroso contro una porta. Mi alzo e vado alla finestra (abito al secondo piano) e scosto le tendine, attento a non farmi vedere.

Due carabinieri stanno picchiando contro la porta a vetri del Mariucci, accompagnati da un’ambulanza.

Nessuna risposta dall’interno.

Dopo l’ennesimo bussare (nel frattempo mezzo condominio si è affacciato a osservare la scena) il carabiniere dalla corporatura più massiccia torna per un attimo in macchina uscendone con un piccolo martelletto. Un colpo al vetro e la sua mano che s’infila all’interno della porta per poterla aprire.

L’attesa si protrae per una quindicina di minuti.

Sarà morto?

Solo com’è, le sorelle defunte da tempo, il Mariucci (che a detta della signora Livraghi, la pettegola mia vicina, vive ora d’una pensione d’anzianità di 500 euro o poco più) potrebbe tranquillamente essere defunto da giorni.

Invece no.

Al termine dell’attesa i due carabinieri escono dall’appartamento, il tipo che ha rotto il vetro entra per primo in macchina e comunica qualcosa (non riesco a capirne le parole) con qualche collega, seguiti dai due volontari dell’ambulanza che stanno portando, sdraiato sulla barella, un Mariucci all’apparenza semincosciente, unici segni di vita un borbottamento incomprensibile, la voce flebile, le mani che a fatica si muovono per scacciare invisibili nemici e che sfregano il petto coperto da una canotta sporca di macchie brunastre.

È sempre la Livraghi a tenermi aggiornato delle ultime novità del signor Piero, ricoverato per Covid da due settimane in ospedale.

“… d’altronde mica aveva tutte le rotelle a posto, guardi, io quando mi passava vicino mi venivano persino i brividi a fior di pelle, avevo paura che mi aggredisse, che mi facesse del male. Non mi ci faccia pensare, mamma mia! - esordisce la zabetta – sapesse lo schifo che hanno trovato i carabinieri e quelli della Croce Rossa… quello lì beveva, ah se beveva, quando urlava da solo in casa era per colpa dell’alcol. Una scena che non le dico hanno trovato… non le dico!” - e intanto mi dice - “… piatti sporchi, con avanzi di cibo, una bottiglia rovesciata, pensi che quando si sono avvicinati per soccorrerlo ha pure provato a difendersi, voleva scacciare gli infermieri, voleva picchiarli, dargli dei pugni, non voleva che lo toccassero, quello zozzone, ha persino provato a morsicare un carabiniere... ma c’era anche – attimo di pausa per incuriosirmi, abbassa il tono e mi sfida con gli occhi c’era pipì e cacca dappertutto! Pipì e cacca! Un porcile era! Lui si aggrappava allo schienale della sedia, ci provava, puarètt...

La ricostruzione della vicina, tinta di finta compassione e disgusto, mi sembra inverosimile, non tanto per il degrado e il sudiciume descritto quanto per le forze del Mariucci, stremato al punto che non avrebbe potuto opporre reale resistenza ai soccorritori,

In ogni caso carabinieri e volontari lo hanno salvato per un pelo.

Il problema si ripresenterà però dopo le dimissioni dall’ospedale.

Chi si occuperà di un ottantenne misantropo che ha tagliato ogni contatto con il mondo circostante?

Amici non ne ha, forse qualche parente che dovrà prendersene cura per obbligo di legge o, al limite, un assistente sociale.

Mi chiedo se in un caso simile non sia meglio una morte che se lo porti via il prima possibile.

14 commenti:

Silver Silvan ha detto...

Zabetta? Cos’è una zabetta? Il racconto è triste, signor PNV. Parla di attualità. E l’attualità è triste.

Silver Silvan ha detto...

Una pettegola! Caspita, un nuovo termine, manco leggessi Verga!

N.B. Ho sempre detto che, a leggere Verga, si impara un termine nuovo (perché ormai desueto) ad ogni pagina.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Sì, è un racconto triste (ogni tanto mi allontano dai "soliti" racconti alla e con PNV).

Filippo ha detto...

Struggente.

PuroNanoVergine ha detto...

@Filippo
Grazie.

Anonimo ha detto...

Sentimenti contrastanti e scusami in anticipo la serietà.
Da una parte dispiace umanamente per un uomo solo e triste, dall'altra il mio cinismo mi fa dire che se costruisci una vita sull'antipatia e sul respingere le persone poi ti prendi ogni conseguenza del caso. Un po' come correre a 300 all'ora e schiantarsi su un platano... a me dispiace per il platano, vedi un po'.
Sì sono cinica e forse crudele, ma è una scelta pure questa che mi trova comunque molto in pace con me stessa.
Sproloquio forse. Non so.
Alahambra sloggata

PuroNanoVergine ha detto...

@Alahambra
Condivido il tuo commento.
A scanso di equivoci personalmente non empatizzo con "Piero Mariucci", avendolo conosciuto per molti anni e avendone tastato il menefreghismo e l'opportunismo non riesco a provare compassione.

Silver Silvan ha detto...

Cavolo, ma è una storia vera? O non solidarizza con la tipologia di persona rappresentata dal protagonista?

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
E' una storia vera, con qualche elemento di finzione.

fracatz ha detto...

certo che son storie molto frequenti tra i mortidifame

silvia ha detto...

meglio morire che vivere così

PuroNanoVergine ha detto...

@silvia
Sì, condivido.
Benvenuta.

Er Matassa ha detto...

E però anche qui - come con lo Sganga - s'impone di conoscere il seguito...

EM

PuroNanoVergine ha detto...

@Er Matassa
Però non necessariamente una storia di finzione deve andare oltre quanto scritto.
Altrimenti dovremmo sapere come è andato il matrimonio fra Renzo e Lucia ;-)
Comunque Mariucci se l'è cavata, l'hanno spostato in un centro per anziani (non conosco il termine esatto) dove vive in un locale tutto suo, all'interno di un condominio condiviso con persone come lui.

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