sabato 4 luglio 2020

Pac-Nan

Il Circolo gestito da mio cugino, in un piccolo paesino ligure, nelle vicinanze delle Cinque Terre, era indubbiamente attrezzato.

Oltre al bar vero e proprio (dietro al bancone il cugino e la di lui moglie, una ragazza bionda, occhi verdi, magrissima, che pochi anni dopo il matrimonio lo mollò, vista “l’instabilità emotiva” del marito) vi era una sala che nel pomeriggio aveva la funzione di Circolo Scacchistico (i giocatori erano, oltre al sottoscritto e altri 4 / 5 ragazzini, un gruppetto di pensionati, fra i quali spiccavano il Russo, un corpulento signore che ricordava vagamente Boris Eltsin in salsa ligure e il Siciliano, il suo rivale più accanito, smilzo, leggermente gobbo, carnagione scura, occhialini alla Battiato. I due si sfidavano in partite seguite con la massima attenzione dagli altri, pochi, appassionati. In palio il titolo di miglior giocatore del locale, titolo che fu poi rubato a entrambi da un giovanotto, capitato per caso un pomeriggio nel bar che, forte della freschezza anagrafica e del far parte della Nazionale Italiana Scacchi, annichilì il Russo e il Siciliano con estrema facilità) e la sera di Centro per la Tombola Agonistica (era stata mia zia, la madre di mio cugino, a portarmi dopo cena a giocare a Tombola. Scoprii che a differenza delle tombolate meneghine natalizie, che si era soliti giocare come passatempo, pretesto per qualche risata in famiglia, quelle liguri erano competitive come non mai: i numeri venivano estratti a ritmo sostenuto, sostenutissimo, ludica catena di montaggio e, nonostante questo, le signore anziane che partecipavano, non faticavano nel tenere dietro l’annuncio martellante, a raffica, delle estrazioni).

Scacchi pomeridiani e tombola serale erano però diversivi rispetto al passatempo preferito: la Sala Giochi, un localino, sempre interno al Circolo, di pochi metri quadri dove trovavano spazio tre videogiochi.

Erano i primi anni 80, i giochi elettronici avevano subito una prima evoluzione rispetto al Pong dell’Atari del decennio precedente o allo Space Invaders.

Il cugino aveva installato, se ricordo bene, una prima macchina con il Donkey Kong (che non rientrava nei miei gusti), una seconda con uno sparatutto spaziale (nel quale me la cavavo egregiamente) e la terza che mi attirava per lo schermo coi colori dall’effetto ipnotico, accentuato dall’oscurità del locale, schermo che mostrava un labirinto dalle pareti blu, dei pallini bianchi lungo le stradine del labirinto, un affarino giallo, sferico, se si eccettuava una fettina mancante nella sfera, con funzione di bocca, mosso dal giocatore, che aveva l’obiettivo di papparsi i puntini bianchi (guadagnando punti), inseguito da quattro fantasmi (di colore rosso, azzurro, rosa, arancione) che dovevano a loro volta fare un sol boccone della sfera gialla.

Pac-Man!

Sì, era Pac-Man l’attrattiva preferita da tutti i giovincelli del paese, residenti o turisti, come il sottoscritto.

Purtroppo sin dalle prime partite capii che il gioco non si confaceva alle mie abilità.

Con tutta l’attenzione e la concentrazione del caso riuscivo a malapena a completare una decina di schermate, con partite che di rado superavano i dieci minuti di tempo e un punteggio finale oscillante fra i 20 e i 30 mila punti.

Era frustrante fallire in un gioco nel quale mi identificavo.

La piccola sfera gialla costretta a sfuggire alle bocche affamate dei fantasmini poteva, ingoiando quattro pillole magiche poste su ognuno degli angoli del labirinto, acquisire per pochi secondi dei poteri speciali, trasformarsi da preda a cacciatore e fare man bassa di punti non solo catturando i pallini bianchi che incontrava lungo le vie dello schema, ma i fantasmini predatori.

La rivincita del più debole, il suo attimo di gloria contro i bulli spettrali.

Il parallelo con il PuroNanoVergine, spesso vittima indifesa di compagni di scuola più alti (ci voleva poco vista la mia nanitudine conclamata) e più prestanti (nano e mingherlino, accoppiata da evitare se si voleva sopravvivere nella giungla dell’adolescenza prevaricatrice) che anelava, come per magia, grazie al potere di qualche pillola miracolosa, a vendicare i torti subiti, era servito. La breve durata delle partite, l’imbranataggine del sottoscritto, le vivevo come conferma che mai avrei superato la condizione di vittima sacrificale delle angherie altrui.

Pac-Nan!

Le soddisfazioni mancanti come giocatore erano in parte compensate dall’assistere, spettatore in prima fila, alle performance stellari del Parodi, un signore sui 40 anni (ora direi un ragazzotto sui 40 anni: relatività del punto di vista in base all’età anagrafica dello scrivente) dinoccolato, stempiato, con capelli ingrigiti e arruffati, due occhi cerulei inespressivi, lo status sociale di disoccupato perenne, o perlomeno così lo etichettavo in quanto la sua unica occupazione consisteva nel trascorrere alcune interi pomeriggi attaccato al joystick per manovrare il Pac-Man, un Pac-Man che agli ordini del Parodi faceva una scorpacciata di puntini bianchi, di fantasmini, di iconcine (comparivano al centro dello schermo e raffiguravano di solito dei frutti tipo ciliege, fragole, arance, mele…), superando schermata dopo schermata, progredendo di livello in livello, per match che superavano in tutta tranquillità l’ora di gioco, talvolta sfiorando le due, e punteggi che si attestavano su una media di 200 mila punti, con picchi prossimi, e in alcuni casi superiori, ai 300 mila.

Era sì spettacolare osservare il talento parodiano all’opera, i primi livelli del gioco il fancazzista quarantenne (perché era un fancazzista, lo confermo: giudizio irrevocabile che non risente della variabilità anagrafica dello scrivente) li superava muovendo in automatico la mano, e con essa il Pac-Man, senza quasi degnarsi di osservare lo schermo. La consuetudine al videogioco era tale che il Parodi ripeteva meccanicamente i gesti necessari a mangiare tutti i pallini bianchi presenti per poter passare alla schermata successiva.

Certo, con il proseguire del match, la velocità dei fantasmi inseguitori aumentava sensibilmente. A questo si aggiungeva una naturale stanchezza del campione, la reiterazione di rapidi movimenti del polso a guidare la sfera gialla richiedeva una precisione assoluta, il minimo errore, un ritardo o un anticipo di pochi centesimi di secondo nello svoltare fra le strade del labirinto, risultava fatale per la vita del Pac-Man.

Per quanto fosse un giocatore (un player) fenomenale, anche il Parodi era in fondo un essere umano (per nullo propenso al lavoro).

Quello che allora non avevo colto nel campione ligure era la sua infelicità.

Da nano ragazzino avevo scambiato l’apparente inespressività del soggetto, il suo sguardo perso nel vuoto (per quanto fisso sullo schermo), l’assenza del benché minimo sorriso, l’apatia che conviveva, non so come, con la rapidità dei gesti, la perseveranza nel proseguire, match dopo match, dal primo pomeriggio fino all’ora di cena, come tratti distintivi di un campione che manteneva un atteggiamento di regale distacco dalla sfida, dalle ripetute sfide, portategli dai quattro fantasmi (che differenza il self control parodiano rispetto al mio inutile affannarsi quando era il sottoscritto a gestire il Pac-Man).

In realtà il Parodi era Pac-Man-Dipendente.

Non provava piacere nel terminare decine su decine di livelli, nel far segnare punteggi iperbolici, nel radunare intorno a sé un pubblico estasiato di giovani invidiosi, adoranti nell’osservarne le evoluzioni elettroniche.

La ripetizione quotidiana, giorno dopo giorno, ora dopo ora, dei medesimi movimenti, per ottenere i medesimi risultati, in un gioco conosciuto a memoria, che non procurava in lui alcuna apparente reazione emotiva, era coazione a ripetere, una dolorosa coazione a ripetere.

Non so se per totale indifferenza, per timidezza o se per non toglierci il gusto del gioco, il Parodi non ci mise mai in guardia sugli effetti potenzialmente nocivi di una ludicovideodipendenza.

Si limitò, ogni tanto, in modo del tutto casuale, a farci dono di qualche moneta da 100 lire, regalandoci delle partite omaggio del “suo” gioco, partite che lui, dall’alto dei 300 mila e rotti punti e di una superiorità indiscussa in materia, non si degnò mai di osservare, abbandonandoci nell’atto dell’insert coin che apriva le danze.

12 commenti:

Nia ha detto...

Mai giocato a PAC man ma perdigiorno come Parodi ne vedo tanti

PuroNanoVergine ha detto...

@Nia
Solo che ora perdono i giorni alle slot machine (parlo dei bar).
Meglio il Pac-Man.

Silver Silvan ha detto...

Io ‘sto Pac-man manco sapevo che roba fosse, ma ho giocato tanto con questo scemo qui che, a quanto pare, è nato sulla falsariga del pac-man. Bello, saperlo dopo quasi quarant’anni!

https://www.youtube.com/watch?v=6mc9ImzuP30

Ah, c’era il video da 24 minuti e passa col record del mondo, ma glielo risparmio.

Silkstocking ha detto...

la "instabilità emotiva", virgolettata, del marito della magrissima bionda è un "touch of class"!!! :-DDDD

Ma hai mai pensato di tentare la pubblicazione in raccolta di tutte qs storie che scrivi? Perche' sono scritte bene, divertenti, mi ricordano lo Stefano Benni dei tempi d'oro (quelli di Baol, Bar sport, La Compagnia dei Celestini...).
Spesso non ho voglia di leggere i post se particolarmente lunghi... i tuoi semmai non riesco a smettere di leggerli!

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Non conosceva il Pac-Man?
Io non conoscevo quello che ha linkato (che in effetti è una scopiazzatura dell'originale ;-))

@Silkstocking
Sì, il cugino non era un tipo affidabile (non so quanto sia durato il matrimonio, ho perso i contatti con zii e cugini da un sacco di tempo).
Grazie per le belle parole (addirittura un paragone con Benni!).
Ho tentato la pubblicazione di un libro (non c'entra PNV) senza successo (e direi a ragione: non era un capolavoro :-))

Silkstocking ha detto...

Magari ti esprimi meglio nel racconto breve.
Il mercato in Italia è un po' saturo di scrittori e carente di lettori... ma secondo me devi riprovare.
;-)

Silver Silvan ha detto...

Sono d’accordo, è un ottimo scrittore di racconti: riuscire a concentrare una trama che catturi l’attenzione in poche righe è difficilissimo. A lei riesce pure naturale! Ci pensi.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silkstocking
@Silver Silvan
Grazie per l'incoraggimento.
Riproverò la dura strada della pubblicazione.

Silver Silvan ha detto...

Bravo!

P.S. Ho notato solo ore che questo post è stato pubblicato il 4 luglio e, in automatico, ho pensato .... nano il 4 luglio! Confessi, lei è Tom Cruise sotto mentite spoglie. Alias Top Nan!

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
No, no, non l'ho mai sopportato (è pure un adepto di Scemology)

Er Matassa ha detto...

Accanto alle slot machines non vanno dimenticati i "social network games". Il cui maggior danno, oltre alla perdita di danaro (solo potenziale, se uno cade nelle trappole degli acquisti o abbonamenti in-app), è sicuramente rappresentato dalla quantità di tempo trascorso online, non preventivabile e "pesabile" solo ex post.

EM

(P.S. Mi unisco ai complimenti per lo stile di scrittura: diretto, divertente, scorrevole, accattivante. A quando il prossimo post?)

PuroNanoVergine ha detto...

@Er Matassa
Sono talmente anziano che non conoscevo i "social network games".
Credo che chi è soggetto a dipendenza trovi sempre un mezzo per praticarla :-(
Grazie per i complimenti, vorrei dedicare più tempo a scrivere post/racconti, ma non è facile.

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