sabato 4 maggio 2024

Nerone

Era la prima estate al mare a San Terenzo, poco distante da Lerici e Sarzana, Liguria di levante e di ponente (mi confondo sempre sul sorgere e tramontare del Sole, meglio rimanere nel vago), ospite per l’intero mese d’agosto di zia Elena, sorella di mio papà, dello zio Pino e dei quattro cugini che avevano partorito nell’arco di una quindicina d’anni (a voler essere pignoli li aveva partoriti tutti la zia): Giulio, Paolo, Michele e Fabio, in ordine decrescente d’età. Fabio era mio coetaneo, 12 anni, Michele e Paolo sfioravano i 20, Giulio un 25enne già sposato e titolare di un bar con saletta giochi elettronici, biliardo e una sala dove il pomeriggio si riunivano degli scacchisti accaniti, sostituiti la sera da accanite giocatrici di tombola agonistica (a San Terenzo l’accanimento era la prassi), equivalente della tombola standard, ma con una velocità d’estrazione dei numeri impressionante.

A completare la famiglia un pastore tedesco buono come il pane, Bart, e un gatto nero di nome Nerone, un nome che non brillava per originalità (a San Terenzo la fantasia non era prassi) ma si adattava al carattere “particolare” del felino.

Le giornate al mare trascorrevano lente e inesorabili seguendo una routine che mi regalava ore di serena, ripetitiva noia. Il mattino durava poco, la sveglia avveniva diverse ore dopo la comparsa del sole, la colazione era all’insegna di Buondì Motta, Girelle o, nei giorni più fortunati, da calde brioche omaggio del cugino barista. Il pomeriggio mi vedeva impegnato in tranquille passeggiate sul lungomare, in rari stravaccamenti sulla spiaggia in compagnia della Settimana Enigmistica e di qualche lettura passatempo (in quel periodo mi dilettavo con Topolino, Sartre, il Corriere dei Piccoli, Heidegger), e di ancor più rari bagni in acqua con mio zio che tentava, inutilmente, d’insegnarmi a nuotare e il cugino coetaneo che tentava, per fortuna inutilmente pure lui, d’affogarmi (fingeva di sorreggere con le mani il mio corpo per poi lasciarmi andare mentre il sottoscritto annaspava con braccia e gambe per rimanere a galla mentre lui se la rideva premendomi sulla schiena per agevolare l’annegamento. Tutto questo fino all’intervento salvifico dello zio che gli mollava in sincrono un “cretino” e uno scapaccione).

Poco prima di sera ero spettatore nel campetto comunale di calcio delle partite del torneo comunale di calcio (a San Terenzo era di prassi usare i campi di calcio per praticare calcio) dove si sfidavano squadre sponsorizzate da alcuni esercizi commerciali comunali (io tifavo per la Trattoria Guendaloni, il cui gioco era orchestrato dal destro fatato di Giuliano Guendaloni, un 50enne che compensava la staticità fisica, veleggiava sui 110 chili, con un tocco di palla e un’abilità nello sfornare assist prelibati, quanto le sue lasagne al pesto, degne di Michel Platini).

In casa ci stavo la sera o nelle giornate di pioggia, con la sola compagnia della zia in versione desperate housewife ante litteram, la tv costantemente accesa su Canale5, le prime soap opera pomeridiane, introdotte da una sigla che raffigurava un uomo e una donna che si rincorrevano su una spiaggia deserta, Barbra Stresand che li accompagnava con Woman in love. La zia stirava, lavava, preparava la cena, faceva il bucato, fedelmente seguita da Nerone che non l’abbandonava quasi mai. Lei ricambiava parlandogli, commentando insieme le soap che uscivano dallo schermo televisivo (“Hai visto Nerone, come piange la Veronica Castro?”. Il gatto di solito non rispondeva, le telenovela non erano di suo gusto, almeno credo), ogni tanto accarezzandolo sulla collottola (Nerone inarcava la schiena ed emetteva dei miagolii di moderata soddisfazione). Personalmente non comprendevo la passione ziesca per quel felino, in genere non comprendevo la passione per i gatti, li trovavo opportunisti e freddi, davano qualcosa solo in cambio di qualcos’altro (dove il qualcos’altro era superiore al qualcosa, senza eccezione), un dare intervallato da ampi intervalli di tempo di’indifferenza nei confronti dei loro compagni umani.

Nerone non esulava da questo comportamento, ma aggiungeva di suo un carattere vendicativo e prevaricatore. La zia mi aveva avvertito che transitare nelle vicinanze del frigorifero senza aprirlo per estrarre cibo da dare al felino, nel caso Nerone si fosse trovato davanti l’elettrodomestico, si traduceva in un tentativo di graffio gattesco sulle gambe. Io provavo a ribattere alla zia che mica potevo leggere nella testa bacata (bacata lo tenevo per me, la zia ne avrebbe sofferto) del suo gatto, per indovinare se avesse o meno fame e che cosa volesse mangiare, “Ma Nerone mica parla, zia?”, era la mia obiezione, “Sì, ma si capisce, dai, quando ha fame si capisce, te lo fa capire”, rispondeva lei, gli occhi a cuoricino rivolti alla bestia dall’unghiata facile. Non solo, una mattina che, avendo il gatto alle calcagna, miagolante, avevo aperto il frigo per offrirgli una zucchina cruda, l’animale l’aveva rifiutata con un colpo stizzito della zampa destra, seguito da un gancio con la zampa sinistra rivolto al mio piede destro. Avevo evitato il colpo, ma mi ero preso uno spavento. La bestia era davvero bacata, bacata e pericolosa. Da quel giorno in presenza del gatto in cucina mi tenevo a distanza di sicurezza dal frigorifero, per evitare ulteriori incomprensioni (se almeno avesse aperto bocca per parlare, quel deficiente) e tentativi d’assalto.

Il problema alimentazione di Nerone lo avevo brillantemente risolto, delegavo alla zia o a uno dei cugini il compito di soddisfare le sue voglie culinarie (osservandolo mangiare avevo comunque notato una predilezione per la cotoletta impanata, i medaglioni di maiale e pancetta, il filetto di salmone al forno che ingoiava in un batter d’occhio emettendo miagolii goduriosi e lascivi).

Di ben più difficile risoluzione era invece il problema letto.

Mi spiego meglio: l’idiota dal muso baffuto aveva l’abitudine, tutte le notti, di salire su uno dei letti dei miei cugini, condividendo con loro la comodità del materasso e delle bianche lenzuola lavate e stirate amorevolmente da zia Elena. I cugini lo lasciavano fare, non sembravano infastiditi dalla presenza del gatto, anzi ne agevolavano l’istinto a salire, se necessario si rincantucciavano per dare al felino tutto lo spazio necessario alle sue comodità. I primi giorni di mia presenza come ospite Nerone non aveva osato saltare sul mio materasso, credo percepisse un’ostilità di fondo del sottoscritto (“lo sai che sei uno stronzo?” gli domandavo ogni giorno fingendo un sorriso, lui ringhiava). Il gatto però soffriva l’impossibilità di prendere possesso anche del letto dove dormivo, nonostante avesse ampia scelta era il divieto implicito che gli trasmettevo a innervosirlo, un delitto di lesa maestà nei suoi confronti, il primo che riceveva fra quelle mura.

Una notte, credo dopo una decina di giorni dall’inizio della vacanza, fui risvegliato da un corpo estraneo che stazionava al centro del letto, una massa indistinta nell’oscurità, indistinta ma miagolante. Il bastardo aveva approfittato di un mio involontario ripiegamento in posizione fetale che gli aveva lasciato libero metà dello spazio disponibile. La tentazione di dargli un calcio fu subito forte, ma temevo la sua rabbiosa reazione. Provai quindi a spostarmi su un lato del letto per poter allungare le gambe, operazione infruttuosa perché lo spazio lasciato libero dalla bestia non garantiva i centimetri necessari all’operazione. Un tentativo di riprendere sonno mantenendo la scomoda posizione nella quale mi trovavo fallì dopo pochi minuti. Fu allora che mi decisi: inizia con delle lievi spinte dei piedi contro il corpo, panciuto, di Nerone. Due fessure verdi ghiaccio mi fissavano con espressione stupita e infastidita. Non mi persi d’animo. Aumentai di poco la pressione ottenendo uno spostamento di pochi centimetri della massa usurpatrice. Due miagolii di avvertimento segnalavano che stavo oltrepassando il livello di sopportazione dell’animale. Esasperato decisi per passare alle maniere forti: di leggera pressione in leggera pressione avrei forse allontanato Nerone dopo una o due ore, il sonno del tutto compromesso, senza la certezza che il nemico avrebbe sopportato le ripetute spinte del sottoscritto. Rannicchiai le gambe, inspirai con forza e nella fase espiratoria, uno sbuffo deciso dalle narici, diedi una bella pedata con entrambi i piedi al gatto che fu sbalzato via dal materasso, cadendo sul parquet della stanza. Come previsto, l’infame si rivoltò all’istante, risalì sul materasso ringhiando. Il tutto mentre i miei tre cugini se la ronfavano alla grande. Mi alzai dal letto, imbracciai il cuscino di piuma imbottito e mollai un colpo sul muso del felino per ricacciarlo sul pavimento. Una volta ripresosi dalla botta (moderata, purtroppo non avevo fra le mani un cuscino di ghisa che l’avrebbe eliminato definitivamente dalla faccia della Terra), Nerone provò ad avvicinarsi, flettendo il corpo, pronto, forse, a tentare un assalto. Non gliene diedi il tempo. Una seconda cuscinata, da lui evitata per un pelo, lo convinse a lasciare la camera da letto. Chiusi la porta e tornai a dormire, ansimante per lo sforzo e l’ansia che mi aveva procurato l’intermezzo guerriero.

Il mattino successivo decisi di risolvere la questione una volta per tutte. Mentre inzuppavo una Girella nel caffellatte raccontai alla zia quanto accaduto poche ore prima. “Ma lascialo dormire con te, è un segno d’affetto il suo, ti vuole bene” fu la risposta demenziale di zia Elena. “Mi odia, sono sicuro che mi odia, se si piazza in mezzo al letto non mi fa prendere sonno. Io non sono come i miei cugini” (il sottinteso è che fossi migliore di loro) “Nerone lo capisce e fa di tutto per disturbarmi e mettermi paura.” “Ma come la fai pesante, PNV, vedrai che col tempo ti abituerai alla sua compagnia, di giorno e pure la notte”. “No, zia, te lo chiedo ufficialmente: se mi vuoi in questa casa, a fare le vacanze con te, lo zio Pino, Giulio, Paolo, Michele, Fabio e Bart, devi cacciare quel demente d’un gatto.” Lo sguardo della zia fu un mix di sbigottimento, incomprensione, ira e odio. “No, questo mai! Se vuoi chiamo l’Angelo e gli parlo dello spiacevole equivoco”. L’Angelo in questione era suo fratello, incidentalmente mio papà.

Fu così che la sera stessa mio padre venne a prendermi, imbracciò la valigia che conteneva le poche cose che avevo portato per la vacanza agostana al mare, salutò, insieme al sottoscritto, la sorella, il cognato, i nipoti, il cane e si incamminò, io al suo fianco, verso la fermata del bus che ci avrebbe condotti alla stazione ferroviaria di Sarzana.

E il gatto? Non presenziò alla cerimonia di partenza. Mentre mi allontanavo con papà dalla casa degli zii udii dei miagolii provenire dall’interno dell’appartamento. Potrei sbagliarmi, forse fu solo suggestione, ma in quei versi non si poteva non leggere un segno d’evidente, compiaciuta, trionfante, diabolica soddisfazione.

5 commenti:

Silver Silvan ha detto...

Prova di forza, tipica dei gatti dominanti. Alla fine, l’ha avuta vinta il gatto e ben le sta!

Filippo ha detto...

Racconto godurioso. Il gatto l'avrei passato alla Trattoria Guendaloni per farne polpette.

Silver Silvan ha detto...

“Il gatto l'avrei passato alla Trattoria Guendaloni per farne polpette.”

In tal caso, mi auguro che il gatto sia malato e infetti pure chi se lo magna.

PuroNanoVergine ha detto...

@Filippo
@Silver Silvan
Mi trovo in sintonia con Filippo: la Trattoria Guendaloni sarebbe stata la destinazione ideale di Nerone :-) :-)

Silver Silvan ha detto...

In tal caso, la vostra destinazione ideale è in gattabuia.

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