sabato 17 dicembre 2022

Ca' del Tram

Primo pomeriggio d’un sabato di metà novembre.

Il freddo e la nebbia del mattino hanno lasciato spazio nel corso delle ore a un accenno di sole moderatamente tiepido che illumina una giornata con velleità primaverili.

Esco di casa alle 15 e 30, la pigrizia mi porterebbe a rimanere chiuso nelle pareti domestiche seduto in cucina davanti al portatile, la necessità di socializzare e respirare all’aperto (a prescindere dalla qualità di quanto si inspira) mi spingono al contrario a lasciare l’appartamento, percorrere i circa 500 metri a piedi lungo la via che taglia in due il quartiere per giungere al bar di Viale Belfiore, un tempo denominato in dialetto “Ca' del Tram” (in prossimità del bar facevano capolinea i tram che collegavano la città con alcuni paesini della provincia), e ora, con poca fantasia, più semplicemente Bar Belfiore.

Il locale si trova all’inizio del Viale, angolo via Genovesi, una strada da qualche anno rimessa a nuovo, l’asfalto tradizionale sostituito da una pavimentazione in pietra che le ha donato eleganza, adornata da una fila di alberelli, nipotini naturali del Gigante, una quercia di venti metri d’altezza che si è insediato nel quartiere circa 200 anni fa (non sembra abbia intenzione di spostarsi) e che fa da colonna d’ingresso al viale.

Dove mi siedo?

All’interno del bar, oltre la zona del bancone (sprovvista di sedie) vi è una sala da the riscaldata, dotata d’una decina di tavolini in legno, le pareti tinte di bianco a eccezione di una sulla quale campeggia incollato un manto erboso plastificato. All’esterno stazionano alcuni tavolini in ferro, identiche le sedie, per una metà accostati all’edificio che ospita la fu “Ca' del Tram” (delle tende quadrate beige a proteggerli) e per l’altra un poco più distanti, in prossimità della strada, maggiormente esposti alla visione dei passanti. Escludo la scelta interna, non sono uscito di casa per rifugiarmi di nuovo al chiuso e propendo invece per l’opzione esterna, nel tavolo più appartato, lontano dall’ingresso del locale, fra quelli adiacenti il muro.

Scosto la sedia, verifico che non sia sporca, le gambe che si piegano e il sedere che s’accomoda. Attendo che si palesi il cameriere, un ragazzo alto e magro che ho intravisto poco prima che arrivassi al bar, in piedi davanti al tavolino vicino il mio, la consueta camicia bianca e un grembiule nero a cingergli la vita. Il ragazzo deve aver ricevuto le ordinazioni delle due tipe che in questo momento stanno parlando fra loro, a un metro o poco più dal sottoscritto. Me le immagino madre e figlia. La prima è una signora sulla cinquantina, i capelli neri raccolti, pantaloni e giubbotto in pelle e, sotto il giubbotto, una camicetta viola che lascia intravedere un seno abbondante. La ragazza ha ereditato il DNA materno: per quanto la temperatura sia gradevole, vista la stagione, mi sembra eccessiva la scollatura del suo maglione bianco a V, che mette in evidenza due poppe prosperose e traboccanti, un tatuaggio poco sotto il collo, un segno grafico che non riesco a decifrare, la chioma bionda e liscia, le punte dei capelli che si adagiano nella scollatura. Distolgo lo sguardo, apro il menù poggiato sul tavolino e fingo di scorrere la lista delle bevande quando in realtà ho già in mente cosa ordinare.

Salve, ha scelto?” alzo lo sguardo e vedo il cameriere in piedi, l’espressione svogliata, un tono della voce che esprime scarso entusiasmo nella domanda.

Sì, vorrei una cioccolata.”

Con la panna montata?”
“No, solo cioccolata”

Non sono solito prepararmene una in casa, il massimo della trasgressione è un caffè rigorosamente amaro bevuto dopo pranzo accompagnato da un quadratino di cioccolato fondente al 70% della Lindt. La mia dieta quotidiana è a base di cereali integrali, pesce, carni bianche al vapore, legumi, e molta verdura, in particolare zucchine. La cioccolata con panna montata rappresenterebbe una deviazione eccessiva alla norma, un cedimento alla dolce vita.

Il cameriere torna dentro il bar, le due donne stanno chiacchierando fra loro, provo ad ascoltare quanto si dicono, mi intriga scoprire qualcosa del mondo altrui da semplici scampoli di dialogo. La madre si sta lamentando con la figlia che tale Teresa è una sanguisuga, che le sta sempre attaccata, non la molla e ha certe pretese su di lei, vuole che l’accompagni a un controllo in ospedale, non è la prima volta, sbotta, ma che lo chiedesse a suo figlio che di tempo libero ne ha a sufficienza. La figlia ascolta, il suo sguardo incrocia quello della madre, ma si posa più spesso sullo schermo dello smartphone, dalla mia visuale intravedo una grafica che dovrebbe appartenere a Instagram.

Un cinguettio mi distoglie per un attimo, un uccellino si è posato su l’alberello che ho di fronte, le rade foglie verde chiaro resistono a una prossima caduta, alla base un quadrato terroso con scarsi ciuffi d’erba accoglie le loro sorelle morte e ingiallite. L’animale muove frenetico il muso, salta da un ramo a un altro, breve sosta, una modulazione del suono acuta e poi via… si lancia verso il cielo.

La ricomparsa del cameriere mi fa sperare in una cioccolata prossima ventura e invece… no, lo vedo approssimarsi a una coppia di ragazzi che si è da poco seduta nel tavolino centrale fra quelli vicini alla strada. Un ragazzetto smilzo con gli occhialini e un giubbetto di jeans e il suo amico più imponente, oltre il metro e ottanta, spalle larghe, un cappotto beige che mal s’intona con una bandana rossa che gli copre il capo. Mentre si passa una mano sulla bandana il tizio fa una battuta rivolto al cameriere (non ne comprendo il contenuto) che ricambia con una risata di circostanza. A negarmi la decrittazione del dialogo il suono fastidioso di una sirena dell’ambulanza, un rumore che anticipa la comparsa del mezzo, lo vedo superare il semaforo rosso all’incrocio fra via Genovesi e Viale Belfiore per poi sparire dal mio campo visivo, il suono rapido ad affievolirsi.

Madre e figlia si alzano in sincrono, la prima prende una borsa di pelle nera che aveva appoggiato su una sedia libera infilando il braccio destro fra le maniglie dorate. Camminano una di fianco all’altra, passi lenti, la più anziana accenna un movimento con le anche influenzato dal tacco 10 delle scarpe nere décolleté che le rendono precario l’equilibrio. Il tavolino lasciato libero mi offre ora la visione di una signora che non avevo notato, seduta nella postazione successiva, da sola, avrà sui 70 anni, forse qualcosa in più, un paltò grigio che non mi sembra di buona fattura, capelli anch’essi grigi e trasandati, un borsone dell’Esselunga al suo fianco, in mano una tazza di thè. Sta fissando, senza staccargli gli occhi di dosso, il ragazzo con la bandana. Non so attribuire un significato a un’osservazione così attenta: perplessità per il copricapo rosso che oggettivamente è un pugno nell’occhio o interesse fuori tempo massimo per un uomo che potrebbe essere suo nipote?

Ecco la cioccolata, sono 5 euro e 50”.

Estraggo la banconota da 5 dal portafoglio e la moneta da 50 centesimi dalla tasca sinistra dei pantaloni. Il cameriere prende la tazza di cioccolata dal vassoio e la deposita frettoloso sul tavolo per poi voltarsi, fare i pochi passi che lo separano dal tavolino dei due ragazzi lasciando di fronte allo smilzo un cocktail dove predomina un liquido verde e una fetta di limone e per Mister Bandana un succo di albicocca e un cappuccino. Certo che in quanto ad accostamenti il tipo corpulento è a dir poco singolare, mi viene spontaneo pensare notando le due bevande ordinate. Una sorsata al cappuccino seguita da un inarcamento della schiena, le gambe che si allungano sotto il tavolino e una battuta che suscita una risata di gusto del compagno mingherlino.

Assaggio la cioccolata, una prima sorsata che ne anticipa una seconda più vigorosa. La temperatura della bevanda è tiepida, quella ambientale sta calando, il sole al tramonto e una velatura nel cielo hanno sparso un grigiore uniforme sul manto stradale, sui nostri tavolini, sulle insegne dei negozi, sul Ristorante Il Gigante, a quest’ora deserto, che ci sta di fronte, persino sulle piante spoglie. Accelero il consumo, la cioccolata a dire il vero è poco gustosa, o così la percepisce il mio palato. Con il cucchiaino raccolgo gli ultimi residui dal fondo della tazza, un tovagliolino di carta per pulirmi le labbra, sia mai che vada in giro con un baffo marrone sulla bocca, e mi alzo.

Una sistemata al giubbino, la signora sempre ipnotizzata dalla bandana rossa al doppio gusto albicocca cappuccino, l’osservato speciale e il suo collega si guardano intorno distrattamente avendo esaurito, credo, gli argomenti di discussione. La mia immagine, riflessa in una delle vetrine del Bar, esprime delusione per una consumazione che non mi ha del tutto soddisfatto. Devio lo sguardo sull’insegna di una pizzeria d’asporto che si trova a fianco del Bar, in evidenza i prezzi delle pizze in offerta (5 euro la Margherita, 6 se si aggiunge una bibita), sugli alberelli nessun cinguettio che bilanci il grigiore cittadino, il marciapiede opposto vede una coppia di anziani a braccetto superata da tre ragazzi nordafricani che parlano fra loro con un tono di voce elevato. Attendo che il semaforo passi dal rosso al verde, le strisce pedonali sotto i miei piedi, sfioro il Gigante le cui radici sembrano premere per emergere dal suolo: vuoi vedere che dopo 250 anni non le venga voglia di migrare verso altri lidi?

5 commenti:

Silver Silvan ha detto...

Mi ha fatto tornare in mente Sandrino! Avrebbe definito questo post “cinematografico”.

Avrei da ridire sulla cioccolata senza panna montata, ovviamente senza zucchero: è come una gnocca senza tacchi!

Filippo ha detto...

Non ce la farei mai ad andare in un bar, non ci sono mai andato. Oggi ci vado quando faccio le soste sul lavoro e devo magari andare in bagno. Ma l'idea di andarci per socializzare, come dici, mi fa venire i brividi. Davvero. Mi piace però la clemenza e l'affetto con cui scruti le persone, un bel tratto della personalità.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Bello il paragone con la gnocca senza tacchi (però tenga conto che in qualità di nano se la gnocca non ha i tacchi è un pregio per me).
Non ricordo chi sia Sandrino :-(

@Filippo
Condivido la ritrosia del bar (ma era un esperimento che dovevo fare per il gruppo di scrittura, andare in un bar e descrivere l'esperienza).

Sara ha detto...

Per un attimo ho pensato che quando il cameriere è venuto a prendere l'ordinazione gli avessi detto che volevi le teste della signora scollata.

Sara ha detto...

Le tette!

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