domenica 23 aprile 2023

La cartina del Principe

Il Don Don Don… della campana della Chiesa è cessato da poco, ogni volta che rintocca viene da tapparmi le orecchie, faccio fatica a sopportarne il rumore. Pure il babbo non gradisce più di tanto, mentre mamma si fa spesso il segno della Croce, non a tutte le ore, quello no, ma a mezzogiorno sì.

Di solito la domenica il locale è già frequentato, in questo periodo non molto a dire il vero, siamo ai primi d’ottobre, sull’isola ci sono pochi forestieri, non sento più gente che parla in dialetto d’altre terre, alcuni lombardi, altri liguri, altri ancora del Veneto, lingue “straniere”, per quanto il babbo dica che siamo tutti italiani in fondo. Di solito il locale è frequentato, stavo dicendo, ma oggi c’è desolazione, non una persona presente, un deserto che mi fa pensare che fra qualche settimana sarà inverno, il grigio del cielo spegnerà il blu intenso del mare, il freddo mi toglierà la voglia d’andare in spiaggia, la Cala della Mortola che io e Ferruccio e Goffredo abbiamo eletto nostra casa segreta rimarrà abbandonata, il vento che d’estate l’accarezza d’inverno sembra graffiarla, così come arrossisce le nostre guance e ci gonfia le labbra.

In cucina il babbo si dà un gran daffare per preparare le pappardelle al sugo di cinghiale, un sugo dove alla carne ha aggiunto del vino rosso, per l’occasione ha preso dalla cantina il miglior Chianti che abbiamo, e l’ha insaporito con sedano, carota, cipolla, aglio e dei grani di pepe. Nel mentre la mamma sta dando un’ultima ripassata alla locanda, ho visto che apparecchia solo il tavolo centrale, con una tovaglia di pizzo in lino all’uncinetto che la nonna le aveva preparato per dote. Alle finestre ha messo degli acchiappasole in corallo che riflettono la luce, quella poca che la giornata uggiosa d’oggi consente.

Io li osservo mentre in cucina, seduto sullo sgabello in legno che sta in un angolo, sto facendo i compiti di aritmetica, le tabelline, quella del 7 in particolare che domani la maestra ha detto d’imparare per bene, che poi c’interroga.

Non muoverti di qui, per nessuna ragione!” mi ha ordinato il babbo e prima ancora che ne chiedessi il motivo ha aggiunto “oggi abbiamo un ospite d’eccezione, il Principe, non ti voglio vedere che vaghi per i tavoli a fare le tue solito domande stupide ai clienti, a importunarli. Il Principe non gradirebbe e l’ultima cosa al mondo sarebbe procurargli fastidio!”. A parte il fatto che i clienti mi prendono sempre in simpatia e ridono alle mie osservazioni oppure fanno un’espressione di meraviglia perché mi considerano un bimbo intelligente, molto più sveglio degli otto anni che ho, a parte questo mi chiedo che cos’ha di così importante il Principe, per quanto Principe è sempre un uomo come tutti gli altri, e perché dovrebbe essere infastidito dal sottoscritto? Non ho osato ribattere al babbo che poi poteva partirgli uno sberlone che finiva dritto dritto sulla mia testa.

Sette, quattordici, ventuno, ventotto, trenta… trenta… trentacinque, mannaggia, parto bene poi a metà mi fermo. O miglioro o domani sono guai e se torno a casa con un’insufficienza lo sberlone al babbo può scattare e la mia testa rintronare. Il Don della campana rimbomba una sola volta, la mamma ha indossato un grembiule bianco con pettorina, sotto il vestito nero come il nero della giacca che sfoggia il babbo, è la prima volta che gliela vedo addosso, sta bene, lo rende pure un poco più snello, quasi quasi gli nasconde la pancia.

La porta in legno della locanda si apre, sull’uscio compare un uomo alto, magro, che bella uniforme blu che ha, quanto è elegante, al suo confronto il babbo e la mamma sembrano vestiti con degli stracci, e poi sulla spalla ha un fucile, luccica il legno della canna quasi quanto il grilletto d’argento. Dopo di lui segue un signore più piccolo, non sembra un militare, ha degli stivali neri che splendono, e dei pantaloni bianchi come la camicia, però i polsini e il colletto sono blu e i bottoni sembrano d’oro. Dietro il signore più piccolo un secondo militare, sembra il gemello del primo, stessa statura, medesimo fucile. Il babbo si fa incontro al terzetto, prima con passo celere poi, giunto a circa un metro da loro, si ferma di colpo e accenna un mezzo inchino. Sento che bisbiglia qualcosa verso il primo militare che si rivolge al signore con gli stivali e poi, dopo un cenno positivo col capo di quest’ultimo, consegna, come se fosse una staffetta, il “sì” al babbo che si volta e con la mano invita la mamma a farsi avanti. La mamma è ancora più in soggezione del babbo, gli sta a fianco e tiene il capo abbassato, mi sembra che dica qualche parola, ma non ne sono sicuro. Passano pochi secondi, si voltano entrambi dopo un secondo inchino rapido rapido e tornano in cucina.

Io corro di filata sullo sgabello, se il babbo avesse visto che sbirciavo la scena, e fingo di tuffarmi con gli occhi sul libro di aritmetica: sette, quattordici, ventuno, ventotto, trentacinque, quarantaquattro… no, quarantadue… mannaggia!

La mamma tiene due piatti di pappardelle sul braccio destro, un terzo sul sinistro, mentre il babbo la segue con una bottiglia di Brunello che accarezza delicatamente. Mi sporgo di nuovo, ai due posti laterali del tavolo siedono i militari, al centro, mi sta di fronte, il Principe. Il fumo delle pappardelle sale dal piatto, la scia d’odore insapora la cucina, chissà come le gradirà il Principe e i suoi due accompagnatori! Mamma e babbo rientrano alla base, li vedo sussurrare fra loro, lei ansiosa, non capisco il motivo, lui l’ascolta mentre prepara delle bistecche di vitellone sulla griglia. In sala si sentono le voci dei tre commensali, parlano in una lingua strana, a volte qualche parola la capisco, ma le frasi per intero no, mi sfugge il senso. Dopo dieci minuti il babbo fa cenno alla mamma di sbrigarsi, con il braccio destro le tocca la spalla invitandola ad andare “va, va, va dal Principe!”, invito, ordine che lei esegue all’istante, di solito se il babbo è un po’ brusco lei gli risponde a tono, ma oggi no. Torna in un battibaleno, due piatti di pappardelle sono vuoti, il terzo è pieno a metà, m’immagino che il Principe non l’abbia finito, non mi dà l’idea di uno che mangia molto. Il babbo scuote il capo perplesso, sta per impiattare il vitellone, ma la mamma lo ferma, come a dirgli che i tre clienti gradiscono una pausa fra una portata e l’altra.

D’improvviso voci concitate nella sala. Il babbo si avvicina all’ingresso che separa il locale dalla cucina, la mamma non osa, io ne approfitto per mettermi dietro di lui e vedere cosa succede. Il Principe si è alzato in piedi, nelle mani tiene una cartina, è una cartina come quella che è appesa al muro della mia scuola, con disegnato l’Italia, il mare mediterraneo sotto con un pezzo d’Africa, l’Europa sopra fino ad arrivare al Polo Nord. Lo capisco perché la mostra al militare che sta alla sua sinistra, nel farlo l’ha voltata in parte verso di noi, alza la voce e con l’indice della mano destra fa segno su un punto preciso della cartina, impossibile dire quale. Il militare sembra dubbioso, vorrebbe dire qualcosa, ci prova, sussurra una risposta, ma il Principe non sembra gradire, gli esce un “merd” o qualcosa di simile, mentre butta la cartina a terra e si siede rabbioso. Il secondo militare rimane seduto al suo posto, gli occhi bassi.

Il babbo non sa che fare, presentarsi ora con la carne non sembrerebbe il momento, tanto più che il Principe non ha terminato le pappardelle e la litigata con il suo accompagnatore deve avergli rovinato del tutto l’appetito. Io fisso a occhi sbarrati la scena, vedo il Principe che sbatte con violenza il pugno sulla tavolata, il bicchiere col Brunello davanti a lui sobbalza, per fortuna non si rovescia a macchiare la bella tovaglia all’uncinetto della mamma. Sono talmente preso dalla figura del Principe che non m’accorgo del brusco dietrofront del babbo, così come lui non aveva notato la mia presenza alle sue spalle. Nel girarsi per tornare al vitellone la sua gamba destra, muscolosa come solo la gamba del babbo può essere, mi urta e mi fa cascare a terra. Cado a peso morto, un POOOM!, risuona nel locale. Il Principe e i due militari a quel punto si accorgono che oltre ai due adulti c’è un terzo incomodo presente.

Il babbo mi guarda, nei suoi occhi un misto di preoccupazione per la mia caduta, ho picchiato la nuca sul pavimento, e una rabbia che reprime per la figura che gli sto facendo fare. Una voce dalla sala, è il militare che ha “discusso” col Principe a parlare, invita il babbo a rialzarmi, ordine che viene eseguito senza tentennamenti e poi con la mano destra fa cenno di introdurre il figlio al tavolo. Sento la mano del babbo che mi accarezza la nuca per poi sfiorarmi la schiena e i pantaloni nel tentativo di allontanare la polvere che potrebbe essersi depositata mentre ero sul pavimento. Io allungo il braccio per attaccarmi alla sua gamba, ho paura del Principe, mi ha scoperto che lo spiavo, mi sembra una persona cattiva, potrebbe farmi del male, altro che gli scapaccioni di mio padre. Insieme, io e lui, avanziamo nella sala. Tengo lo sguardo rivolto al pavimento, ma quando ci fermiamo mi viene l’istinto di alzare gli occhi e scrutare il mio giudice severissimo. Vedo che mi vede. A un tratto la sua voce: “Come ti chiami?”. Balbetto un: “Fio… fio… ren… zo”. “Fiorenzo, bel nome, Fiorenzo”. Lo pronuncia con una r strana, come potrebbe pronunciarlo un rospo. È la prima volta che il mio nome ha il suono di un Fiorenzo.

Il Principe si rivolge al militare che finora è stato muto ordinandogli non so cosa. Non comprendo quello che dice, noto solo che quella parlata da r del rospo non mi dispiace, anzi, me lo fa sembrare meno antipatico. Il militare si alza dalla sedia, viene verso di me e il babbo, si inginocchia e raccoglie la cartina geografica che il Principe ha scagliato sul pavimento. Me la consegna. Sorpreso, non so che fare, ma l’insistenza del militare, che muove il braccio con la cartina e mi fa cenno di prenderla, mi obbliga ad accettare il dono. La tengo in mano a fatica, come se scottasse, sia io che il babbo siamo come due statue di marmo, impietrite, immobili. Pochi istanti di silenzio assoluto, poi il Principe si muove, fa qualche passo, lascia la sua postazione, gira intorno al tavolo, si avvicina a me, si abbassa in modo da essere alla mia altezza, prende la cartina che io gli cedo subito, meno male che non devo tenerla più in mano, e la dispiega.

Vedi Fiorenzo, nous sommes ici” col dito indica un cerchietto rosso che circonda l’isola di Capraia e al suo fianco l’isola d’Elba (le riconosco subito perché la maestra ce le ha fatte vedere sulla cartina che teniamo sul muro della classe) “mais bientot je serai là” e nel dirlo vedo che muove l’indice da Capraia e dall’Elba a risalire il mare, per poi toccare la terra, la Liguria, il Piemonte e poi ancora più in su, entra nella Francia, dovrebbe essere la Francia quella, e ancora più in alto fin quasi a un mare che sta a nord, non ricordo il nome, con il dito che si ferma su un secondo cerchietto rosso, al centro del quale c’è la scritta “Paris”.

Il Principe richiude la cartina, me la rimette in mano, mi accarezza sul capo, si alza e torna a passi lenti alla sua sedia. Io non resisto, stringo forte il regalo bollente mi stacco dal babbo e corro di filata in cucina. Chissà se il Principe ora è più tranquillo? Forse sì. Forse pure lui mi ha trovato simpatico come gli altri clienti, intelligente no, non ho aperto bocca, ma simpatico sì. Mi siedo sullo sgabello, vorrei ripetere la tabellina del sette, ma ho la testa troppo confusa. La mamma mi guarda, tiene due piatti di vitellone sul braccio destro, il terzo sul sinistro. Che profumo quella carne! Ne sono certo, il Principe non è così cattivo come sembra e ora si è pure calmato. Di sicuro gradirà il vitellone alla brace, se lo mangerà tutto, non l’avanzerà come le pappardelle.

8 commenti:

fracatz ha detto...

No, no, non è possibile che il principe sia Lui, proprio Lui, perchè ai suoi tempi, quanno c'era Lui, le tabelline si imparavano in prima elementare, poi 50 anni orsono le maestre più acculturate passarono all'insiemistica, niente più tabelline a memoria, tanto ci sono le calcolatrici e nemmeno alla maturità te le chiedono, tanto ci sono i cellulari e non ti chiedono nemmeno la capitale della francia, tanto c'è google.
Ma allora chi era 'sto principe del 1800

PuroNanoVergine ha detto...

@fracatz
L'Isola d'Elba... un francese... 1800 o poco più...

Silver Silvan ha detto...

Io lo so! Era Napo Orso Capo!

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Oui.

Filippo ha detto...

Ma non era Imperatore?

PuroNanoVergine ha detto...

@Filippo
Sì, ma durante il soggiorno all'Elba lo nominarono pure Principe (l'equivoco mi serviva per non svelare in modo plateale l'identità).

fracatz ha detto...

e da principe arrotolava le cartine e le distribuiva ai bimbi
principi generosi

PuroNanoVergine ha detto...

@fracatz
Arrotolava le cartine e arrotava le R.

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