venerdì 5 maggio 2023

Apocalypse Bar

(il racconto è la prosecuzione, in chiave distopica, di questo precedente racconto: Ca' del Tram )


La seconda notte il sonno si è fatto più regolare, il corpo si adegua alla durezza del pavimento, come cuscino una tovaglia piegata in otto, una seconda che fa da coperta leggera, il rumore del frigo che attacca e stacca diviene meno fastidioso, l’orecchio lo ha catalogato come famigliare, trascurabile, sottofondo non più in grado d’interdire l’abbiocco.

La sveglia appesa alla parete segna le 6 e 45, mi alzo, una stiratina al corpo, il buio completo della sala svanisce quando accendo lo smartphone. Indirizzo la luce per un attimo sui miei compagni di reclusione: Gabriele ha gli occhi aperti, se li copre con una mano per evitare la torcia del mio cellulare. Indossa la bandana rossa, non se l’è ancora tolta da l’altro ieri; il suo amico smilzo, Loris, se la dorme alla grossa così come la signora dai vestiti sdruciti (le poche parole che finora ha spiaccicato non hanno permesso di darle un nome) che abbraccia nel sonno la borsa giallo limone dell’Esselunga; sdraiata sul fianco destro, le mani giunte sotto la guancia, vedo Rossella e il suo seno prosperoso; la figlia non è vicino a lei, il sospetto della prima notte, la sua assenza dalla sala da the unita a quella del barista, ha trovato conferma la seconda: i due si sono appartati nella sala principale, dietro al bancone, dormono insieme, quando non sono i gemiti di lei e il bofonchiare di lui a far pensare a qualcos’altro.

Il pensiero va al cameriere: che fine avrà fatto? Si è dileguato pochi minuti prima dell’ordine irrevocabile dato dagli altoparlanti che intimavano il rifugiarsi immediato all’interno del primo riparo potenziale (per noi clienti, il bar Belfiore). Per i trasgressori, visto il Livello di Emergenza Assoluto proclamato dal Governo, nessuna giustificazione possibile, ma l’esecuzione sul posto da parte dei Reparti Speciali per la Difesa del Sacro Suolo Italico. Il proclama si limitava a fissare in giorni sette, scadenza alle ore 24 di sabato 26 novembre, il periodo d’isolamento preventivo al termine del quale il Governo avrebbe diramato nuove disposizioni.

Sette giorni in un bar vogliono dire, innanzitutto, razionamento del cibo tenendo conto che Germano, il proprietario, poteva offrici sei panettoni di un chilo l’uno, una dozzina di brioche, due cabaret di biscotti alla pasta frolla, nove pacchetti di patatine, quattro di popcorn, arachidi, qualche panino al latte farcito, tre muffin, sedici porzioni di macedonia, tre confezioni da 12 succhi di frutta l’uno, liquori e drink a volontà, caffè, the, tisane varie, cioccolata (che eviterò finché mi sarà possibile), una bottiglia di Prosecco, scatolette di tonno e salmone, come da inventario stilato poco dopo l’abbassarsi delle saracinesche. Non moriremo di fame né tantomeno di sete, sempre che la settimana di prigionia termini con il via libera governativo.

Mi dirigo verso il piccolo bagno del negozio, chiudo la porta e accendo la luce al neon che illumina d’un bianco gelido i pochi metri quadri della stanzetta, rigida atmosfera che si deposita sul lavandino dal quale fuorisce solo acqua fredda, sul water ingiallito, sul bidet, sulle confezioni da quattro rotoli di carta igienica di scarsa qualità, sull’asciugamano bianco e il detersivo liquido. L’odore di piscio misto a disinfettante mi provocano un principio di nausea che reprimo prima che si tramuti in uno sbocco di vomito. L’igiene personale è l’aspetto peggiore della convivenza forzata per un gruppo di sette persone confinate in soli due locali. Il nostro è un lavarsi da gatti, l’unica bottiglietta di sapone liquido si è esaurita ieri mattina, la mancanza di una doccia impedisce una pulizia del corpo, ma più di tutto è l’assenza di un ricambio, in particolare per l’intimo che inizia a produrre fastidiose conseguenze olfattive.

Esco dal bagno, nel frattempo la compagnia inizia a dare segnali evidenti di risveglio. Gabriele è accovacciato sul pavimento, posizione dalla quale si stacca solo per pochi minuti, mediamente una volta ogni due ore, per fare dello stretching o per brevi camminate a sgranchire i muscoli. Il resto della giornata è finalizzato a consumare la minor energia possibile, centellinando la respirazione per limitare l’emissione di anidride carbonica, cosa che a detta sua tutti noi dovremmo fare pena il soffocamento prima della fine della settimana. A vederlo, con il suo metro e ottanta abbondante, il mascellone, la struttura ossea possente, non si direbbe che è un ipocondriaco della peggior specie.

L’amico, al contrario, tanto è minuto ed esile quanto pieno di energia. Una vitalità che ha trovato l’obiettivo verso il quale esprimersi, anzi due obiettivi per la precisione, le poppe extralarge di Rossella. La proprietaria delle medesime sembra gradire le attenzioni di un ragazzo che potrebbe essere all’incirca suo figlio. Sono seduti uno di fronte all’altra, lui sorseggia un succo ACE, lei sta rimirando le unghie smaltate di viola per poi voltarsi verso il sottoscritto e chiedermi a bruciapelo: “Anche oggi per colazione il the verde?”. “Sì” è la mia timida risposta, seguito da un suo: “Per me una colazione senza un bel cappuccino non è una vera colazione”, critica che immagino vada oltre il confronto con il suo cappuccino, estendendosi all’approccio che abbiamo nei confronti della vita: gaudente per Rossella, sobrio il mio.

Poco dopo sono Germano e Samantha ad apparire. Lui le cinge le spalle con il braccio sinistro, gesto che esibisce con nonchalance per l’intera truppa, a sancire la nascita ufficiale d’una coppia che nelle prime quarantotto ore, in particolare in quelle notturne, aveva dato il via alle prove generali prima del coming out ufficiale inscenato in questo momento. La ragazza entra nella sala da the, il barista torna nell’altro locale dove lo sento armeggiare con la macchina del caffè (lo immagino tornare con un vassoio dove una pila di biscotti al burro farà da contorno al cappuccino che offrirà sorridendo alla futura potenziale suocera).

AirVisual segnala un preoccupante aumento della concentrazione di anidride carbonica” mugugna Gabriele, lo sguardo concentrato sullo schermo dell’iPhone. Ignoro le sue preoccupazioni, nella scelta se respirare aria insalubre all’interno del bar o un’atmosfera di sicuro più fresca fuori per strada, con il rischio concreto di beccarmi una sventagliata di mitra, scelgo senza alcun dubbio la prima opzione. “Eddai, piantala con ‘ste paranoie sulla salute dell’aria, mica moriamo soffocati” è invece la frase, pronunciata con inattesa ruvidezza dall’amico Loris. “Certo, meglio fare il deficiente con una che avrà l’età di tua mamma”, replica Gabriele. “E allora pensa all’aria che ti uccide, se ti fa piacere, bigolo”.

Terminata la colazione per tutti, se si eccettua la signora Esselunga ancora sprofondata in un sonno non scalfibile, Germano preme il pulsante che alza la saracinesca della vetrina della sala da the. È una giornata nebbiosa, probabile che nel corso della mattinata il sole si faccia spazio e ci doni se non un tepore una luminosità confortante. Rossella preme il viso contro il vetro del negozio, osserva con l’attenzione di un bimbo perso nel paese dei balocchi il panorama che le si offre alla vista. “Non c’è anima viva in giro” sbuffa dopo una trentina di secondi. “E come potrebbe esserci!?” è la risposta di Loris che le si è avvicinato, il viso attaccato alla vetrina mentre il suo fianco destro cerca un contatto con Rossella. Lei non lo evita, anzi, sembra favorirlo, un leggero movimento dell’anca che si strofina sul giovane compagno di reclusione. “Vado a lavarmi” l’annuncio di Samantha che si muove diretta verso il piccolo bagno, gli occhi di Germano a seguirla. Per un attimo immagino la ragazza dentro la stanza dall’odore respingente, lei che si piega sul lavandino e vomita, il lavandino imbrattato dalle tracce del cibo di Samantha, io che dovrò tornare prima o poi a farne uso.

Apro il browser dello smartphone in cerca di novità sul sito della Gazzetta Italica. “Qualche news?” chiede Gabriele. “Nulla. L’home page è la medesima di ieri sera. Confermano la fine del periodo d’isolamento per sabato prossimo, certi che il popolo saprà seguire alla lettera le indicazioni del Governo. Per i trasgressori è prevista…” “… l’esecuzione sommaria, seduta stante” è Gabriele a completare la frase. “Seduta stante”, confermo. Il rumore delle saracinesche che Germano sta alzando nel locale principale mi distoglie dal pensiero di non poter far nulla per uscire da uno stato di cattività dalla durata indefinita, al di là delle promesse governative, dal retrogusto minaccioso.

La signora anonima emette uno sbadiglio misto grugnito, a segnalare il suo lento risveglio. La guardo mentre a fatica muove il busto, poggiando le mani sul pavimento per poi alzarsi appoggiandole sullo schienale della sedia a lei più vicina, sulla quale deposita, pochi secondi dopo, l’ampio sedere. Avrà sui 70 anni, o forse meno, l’aspetto trasandato potrebbe donarle qualche anno in più del dovuto. Tiene fra le braccia la borsa Esselunga, l’apre per pochi centimetri, si curva in modo d’avvicinare il viso al sacchetto giallo, infila la mano destra per ritirarla tenendo in mano una confezione plastificata di salame Citterio che appoggia sul tavolo e che apre. “Vuole un panino al latte? Ho solo quello se le va di fare un sandwich”. L’offerta gentile di Germano è respinta con un lento diniego del capo e un “No” sussurrato di malavoglia. La signora estrae una a una le fette di Citterio, le appallottola e se le infila in bocca, masticandole con calma. Nessuna bevanda ad accompagnare l’inedita colazione.

Samantha esce dal bagno giusto in tempo per l’ultima fetta di salame, un’occhiata alla scena, è ancora alle spalle della donna, e rivolta alla madre mima un segno con l’indice della mano destra a picchiettarsi la tempia, indicando che la tipa non deve avere tutte le rotelle a posto. In contemporanea, telepatica connessione, io e Gabriele ci alziamo in piedi. Ho voglia di muovermi un poco, camminare avanti e indietro nei due locali del bar per una decina di minuti. Gabriele si limita a stirarsi la schiena, allunga le braccia verso l’alto e poi s’inarca un poco all’indietro, gesto che ripete alcune volte prima di prendere la mano destra con la sinistra e provocare un “cronch” di dita sgranocchiate. Rossella ha estratto dalla borsa uno specchietto e scruta il volto, l’espressione dubbiosa per un trucco non rifatto, i segni dell’età e della reclusione sommati incrinano la fiducia nella propria bellezza, un “che occhiaie!” a sancire l’insoddisfazione estetica. Le osservo il viso, gli occhi sembrano lucidi, lo sono, la vedo estrarre un fazzoletto e asciugarsi le guance, gesto rapido per il timore di mostrare la propria debolezza.

Il suono di una sirena porta l’intero gruppo a precipitarsi contro le vetrine, appena in tempo per vedere una camionetta dell’esercito sfrecciare lungo via Astesani. L’unica che non reagisce al suono è la vecchia anonima. La vediamo indossare il paletot, dare un’occhiata alla borsa Esselunga e dirigersi verso una porta che finora nessuno ha osato avvicinare, l’uscita dal retro che dà nel cortile interno del palazzo che ospita il bar. “Cosa fa, signora, non è permesso uscire!” la concitazione nella voce di Germano “… non ha sentito il bollettino del Governo? Così rischia la vita, la possono mitragliare se la vedono in giro…”. Un “fanculo” chiaro benché sussurrato esce dalla bocca della tipa. La sua mano sinistra afferra la maniglia e l’abbassa. La luce esterna del cortile per un attimo si insinua nella sala da the. Germano è indeciso sul da farsi, così come il resto del gruppo. Lasciarla andare? Che ne sarà di lei? E cosa rischiamo noi, è il pensiero che mi mette ansia, che le abbiamo consentito l’uscita? “Ma non è meglio fermarla?” sbuffa Samantha “Se poi la beccano non è che rischiamo pure noi? Per una vecchia rincitrullita?” insiste la ragazza. Rapido scambio di sguardi che non porta a nulla. In cuor mio, e penso che valga per tutto il gruppo, vorremmo imitare il gesto della signora, uscire da una condizione imposta, tornare perlomeno nelle nostre case. Vorremmo, vorrei, ma rimaniamo fermi, sul posto, bloccati da una vigliaccheria paralizzante. “Che merda che sono”, pensiero che accompagna il mio capo che si abbassa per un istante.

Incurante della nostra sterile esitazione la vecchia supera la soglia e richiude la porta alle proprie spalle. Di nuovo ci attacchiamo alla vetrina per seguirla mentre si incammina lungo viale Belfiore, passi lenti, leggermente curva, il giallo Esselunga nella mano destra, mentre con la sinistra si gratta i capelli sporchi. Poco dopo esce dal nostro campo visivo. Germano torna nella sala principale, seguito da Samantha. Rossella e Loris si siedono uno di fronte all’altra, il ragazzo osa allungare le mani per prendere quelle della donna, che sembrano tremare. Gabriele si sdraia di nuovo a terra, chiude gli occhi, rallenta la respirazione. Io rimango in piedi, abbasso il viso, guardo il marmo rosagrigio del pavimento, nell’attesa che una sventagliata di mitra mi confermi l’inutilità dell’evasione alla quale abbiamo assistito.


5 commenti:

Filippo ha detto...

Uno squarcio serrato su una condizione di vita da reclusi. I personaggi meglio riusciti secondo me sono la voce narrante, Rossella e la signora Esselunga. Non ho capito le ragioni della reclusione in questo pezzo fantapolitico. Pandemia?

PuroNanoVergine ha detto...

@Filippo
Grazie.
In realtà il motivo della reclusione non è specificato, mi interessava semplicemente descrivere la condizione da reclusi, come scrivi, a partire dalle normali esigenze quotidiane legate al cibo, alla pulizia, agli spazi di libertà che restringendosi influiscono sui rapporti umani.

Silver Silvan ha detto...

Più che sui rapporti umani, per esperienza personale, direi che gli effetti della reclusione si sono visti sul cervello della gente. La maggior parte non vedeva l’ora di tornare alla “normalità”, senza chiedersi minimamente se quello che faceva dalla mattina alla sera fosse davvero normale o il frutto di una consuetudine condivisa. Alcuni lo hanno fatto, ma costituiscono una minoranza. Per questo mi piace la signora con la borsa gialla (qui l’Esselunga non c’è, mi fido) che prende la porta e se ne va e che continua a dormire mentre gli altri sono “svegli”. Oddio, la sua colazione la salterei volentieri, ma è un dettaglio insignificante. Non ricordo se ho letto la prima puntata, mi aggiorno.

fracatz ha detto...

la borsa gialla è proprio sbagliata concettualmente.
Troppo alta rispetto alla larghezza ma distingue gli acculturati

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Sì, la signora con la borsa gialla rappresenta il personaggio che meno si mischia agli altri e compie un gesto di rottura.

@fracatz
Non ho capito quel "Troppo alta rispetto alla larghezza ma distingue gli acculturati" (???)

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