venerdì 15 dicembre 2023

Prosecuzione di Pennac

(la prima parte in corsivo e font ridotto è tratta da Storia di un corpo di Daniel Pennac, la seconda è un mio tentativo breve di prosecuzione dell'episodio narrato)

 16 anni, 7 mesi, 2 giorni                                             Domenica 12 maggio 1940

A volte, in dormitorio, quando mi sveglio in piena notte in preda all’angoscia (il più delle volte sto sognando papà o Violette), riesco pian piano a calmarmi lasciandomi pervadere dalla sensazione che io e tutti gli altri che dormono siamo un unico corpo. Un grande corpo addormentato nello stesso respiro, che sogna, geme, suda, si gratta, si rigira, tira su col naso, tossisce, scoreggia, russa, eiacula, fa incubi, si sveglia di soprassalto, e subito si riaddormenta. Ciò che provo in quei momenti non è tanto un sentimento di cameratismo quanto la sensazione che, da un punto di vista organico, il nostro dormitorio (siamo sessantadue) costituisce un solo e unico corpo. Se uno di noi morisse, il grande corpo comune continuerebbe a vivere.

Una convinzione, l’immortalità del corpo unico data dalla somma dei nostri sessantadue singoli corpi ognuno coricato su un letto di forma, fattura e dimensione diversa, che ha vacillato mercoledì scorso, 15 maggio 1940, con la scomparsa di Antoine, Antoine Depleschin, Antoine Pantagruel per tutti noi, i suoi 12 anni che deambulavano 120 chili di ciccia burrosa nel collegio, una ciccia sobbalzante nelle ore di ginnastica tenute dal Professor Guignol, un grasso lucido di sudore illuminato dal calore afoso di questa città, le mani di Antoine che stringevano le fette di pane, burro e marmellata di lamponi, il rosso dei lamponi a contornargli la bocca, le briciole di pane cadenti sulla maglia grigia del pigiama che scivolavano lente verso l’ombelico, seguivano il contorno del girovita strabordante acquisendo velocità per poi lanciarsi verso terra, sul pavimento del dormitorio, vicino al letto con doppio materasso di piume d’oca che doveva sorreggere la massa del nostro compagno.

Antoine portava con sé dalla mensa due fette di pane, tre confezioni di burro, apriva il cassetto del comodino azzurro a fianco del letto, ne estraeva la marmellata che spalmava con un cucchiaio per la frutta sulla prima fetta di pane, la dolcezza del movimento della mano destra a pennellare i lamponi, lo strato di burro adagiato sulla marmellata, la seconda fetta a chiudere il tutto, breve sguardo compiaciuto e la bocca ad addentare la merenda notturna, poco prima di dormire, da poco scoccate le ventidue. L’ultima cerimonia tenuta alle dieci di sera di martedì 14 maggio.

Il mercoledì mattina la sveglia delle sei, il piccolo battaglione di sessantadue soldati dovrebbe abbandonare i letti, centoventiquattro piedi a toccare il pavimento freddo del dormitorio, l’attesa dell’ingresso di Suor Cecile, la preghiera per ringraziare il Padre Nostro d’averci donato un altro giorno a lui consacrato, la fila al cesso per lavarsi con l’acqua fredda, la divisa d’ordinanza, la colazione pane raffermo e caffellatte prima della scuola. Il mercoledì mattina sono sessantun soldati e centoventidue piedi che rispondono all’appello, Antoine si rifiuta, rimane coricato, supino, il doppio materasso arcuato piegato dal corpo extralarge, le braccia a contenere i fianchi, l’espressione pacificata sul volto, la pancia immobile, nessun movimento a segnalare inspirazione ed espirazione, l’assenza del consueto russare che molte volte m’ha tolto il sonno, la mia branda alla sinistra del suo letto.

Rimaniamo in piedi a guardarci l’un l’altro, vorrei avvicinarmi ma temo d’interrompere la sacralità del riposo dell’amico, centoventidue occhi che si spostano dalla sua pancia al volto di Suor Cecile che si avvicina a passettini rapidi, le scarpe cigolano sul pavimento, accompagnata da Therese e Nathalie, le due ancelle preferite, per poi fermarsi marziale a lato del letto, inchinarsi leggermente in avanti di pochi gradi, Suor Cecile e il suo metro e quarantotto di bassezza, per osservare la salma. Nessuno di noi dubita sullo stato di Antoine. Suor Cecile allunga l’ossuta mano destra fino a toccare, pollice-indice, il collo del ragazzo, piccolo passo in avanti, ulteriore inclinazione del busto, l’orecchio ora poggiato sul petto, Therese e Nathalie si scambiano sguardi di trattenuta paura, le loro mani serrate stringono il desiderio di fuggire nell’impossibilità di farlo. Suor Cecile si raddrizza, breve panoramica sull’intero salone, cinque secondi di raggelante silenzio seguiti dall’ordine: “Bene ragazzi, prima del Padre Nostro, l’Eterno Riposo per il povero Antoine!”.

5 commenti:

fracatz ha detto...

catz, ad averlo saputo, invece di porre la seconda fetta di pane sopra quella imburrata, poteva imburrarla e immarmellarla e mangiarle separatamente una appresso all'altra

Filippo ha detto...

Venendo a mancare un elemento così di peso non so se l’insieme resti inalterato.

PuroNanoVergine ha detto...

@fracatz
Fosse colpa della marmellata...

@Filippo
E' il dubbio del ragazzo narratore.

Silver Silvan ha detto...

Non mi è piaciuto. È grottesco.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Mi spiace.

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