domenica 21 luglio 2024

Un bottone grande e rosso

L’aria frizzantina di fine settembre si alzava ogni tanto a smuovere il tendaggio nero di velluto che adornava il perimetro rettangolare del locale, all’aperto. Le tende erano in parte tirate, in parte raccolte, una via di mezzo fra la necessaria protezione da una temperatura che, superate da poco le 20, stava calando rapidamente e l’esigenza di non trasformare il ristorante in un luogo chiuso, mortuario nella sua delimitazione vellutata. Undici tavoli circolari, ognuno con sei posti a sedere, erano disposti in una formazione calcistica stile 3-2-3-1, una schema a dire il vero che esulava da qualsiasi modulo tattico tradizionale.

Franco sedeva con altri cinque commensali, una prima coppia sulla quarantina, lei bassa e tracagnotta, lui spilungone magrolino col naso aquilino e la loro figlia dodicenne, Giulia, in leggero sovrappeso, le guanciotte rosse e un naso a patata, e una seconda composta da un ragazzo e una ragazza, freschi entrambi di laurea in Psicologia dello Sviluppo, poco propensi al dialogo con il resto del tavolo, più interessati allo scambio d’amorosi sguardi che, così Franco si immaginava, fra qualche tempo non si sarebbero più scambiati.

Per un attimo pensò a Clelia, a Massimo e Clelia, al sé stesso sotto copertura, non ricordava per quale motivo avesse scelto Massimo come nome, a una storia d’amore che per necessità avrebbe dovuto troncare, una volta giunto il momento di…

Nel tavolo alla loro destra si era alzato per un brindisi un tizio sul metro e ottantacinque, Piero, così lo avevano chiamato alcuni amici nel vano tentativo di limitarne l’esuberanza data da un evidente stato alcolico. Ondeggiando sulle gambe, l’uomo aveva alzato la mano destra che gli serviva per stringere un bicchiere di spumante, da poco svuotato, e aveva gridato a tutta la sala un: “Erminio, che sia la volta buona che ti sposi una bella mona!”. Le risate d’accompagnamento solo in parte avevano attenuato l’imbarazzo dei commensali. Dal tavolo numero 1 lo sposo aveva risposto con un impacciato alzare di un calice, mentre la neosposa, seconda moglie di Erminio, aveva proseguito a parlare con la sua testimone di nozze, tale Noelia, rigida in una tuta nera di satin con corpino dal raffinato scollo a barchetta, un vestitino sotto il quale la vista bionica di Franco aveva potuto ammirare, nella fase di ingresso al locale, quando i partecipanti erano concentrati nella ricerca del tavolo a loro assegnato, un fondoschiena minuto e tornito alla perfezione, opera di un abile artigiano ultraterreno.

In sottofondo musica new age anni ‘90, una miscela di noiosissime note rilassanti che diffondevano torpore fra i presenti (o era la pesantezza delle portate servite e degli alcolici bevuti, giunti ora al dolce che avrebbe concluso la serata?).

Il maitre di sala in completo nero con cravatta grigio perla muoveva il capo per controllare eventuali disservizi mentre parlottava con il più giovane dei camerieri il quale annuiva alle disposizioni che stava ricevendo. Allontanatasi il ragazzo, il maitre aveva alzata la manica della giacca e data una sbirciatina all’orologio d’oro (o dorato) che aveva al polso del braccio sinistro.

Un tris di bambini, due gemelline sui 5 anni con vestitino azzurro e un bimbetto sui 3 anni o poco più con pantaloncini beige, camicetta bianca e papillon beige, zigzagava fra i tavoli, il maschietto a rincorrere invano le femminucce, urlanti quanto basta per coprire con le loro voci l’insostenibile vacuità della musica di sottofondo. Vista l’inefficacia della rincorsa il bimbo era stato richiamato all’ordine dalla madre con un: “Mattia, torna qua, stai sudando, con quest’aria freddina poi stai male”. L’invito era stato accolto a capo chino, il maschio sconfitto, le due gemelline a guardarsi sorprese, venendo meno il soggetto che le aveva fatte divertire.

Giulia aveva chiesto a Franco: “Ma cosa porti in quella valigetta?” ricevendo in risposta un “Un bottone grande e rosso che se lo premo tutti noi all’improvviso svaniamo nel Nulla Cosmico”. “Tutti noi ospiti del matrimonio?” aveva ribattuto la ragazzina, il naso a patata dal color rosé, con chiusa finale dell’uomo: “Tutti noi che siamo in questo locale e pure qualcun altro”. Giulia non aveva ritenuto interessante proseguire oltre, tanto più che quel tipo così simpatico non le sembrava, le aveva risposto guardandola male negli occhi, si era immaginata che avesse una specie di raggio laser nello sguardo che avrebbe potuto incenerirla.

La signora Leonilde, l’ottantasettenne madre di Erminio, si era sporcata l’abito di chiffon nero con composizione floreale con mezzo filetto di salmone affumicato servito poco prima. La donna osservava lo scempio compiuto scuotendo la testa mentre il figlio tentava invano di porvi rimedio con il tovagliolo. Il maitre aveva mosso dei passi verso il tavolo dello sposo, il corpo proteso verso l’anziana salmonata, il capo rivolto all’indietro per richiamare un cameriere al quale assegnare il compito di riparazione, o limitazione, del danno. La nuora aveva dato una occhiata distratta alla suocera, poi si era alzata per dirigersi verso il tavolo numero 4, il penultimo che le mancava nel prevedibile tour chiacchiericcio che doveva spettava di diritto a tutti i commensali.

Al tavolo 7 i coniugi Broggi, baffetti alla Clark Gable lui, chignon di capelli tinto biondo lei, disquisivano di bridge con il vicepresidente Ing. Arnaldi dell’agenzia pubblicitaria Smith&Renegade, il superiore diretto dello sposo. “Lo vede quel tipo seduto nell’ultimo tavolo a destra, in fondo alla sala?” con l’indice destro il Broggi marito puntava in direzione di Franco “Intende il signore dai capelli ingellati corti?” chiedeva conferma l’Arnaldi, “Sì, proprio lui. Quando le parlavo dei tornei di bridge miei in coppia con Stefania e di come spesso in finale avessimo affrontato Erminio... beh, il compagno di Erminio era quel signore, di nome, se ricordo bene, Franco. Guardi, di giocatori professionisti di qualità ne ho incrociati molti, ma quel tizio lì era fenomenale. Una memoria prodigiosa, non sembrava neppure umana. Sa, avevo l’impressione di affrontare un computer.”, “Quindi…” chiosava l’Arnaldi “… quando Erminio in ufficio si vanta dei suoi trofei vinti al bridge, quel suoi è in buona parte merito del compagno di gioco?”, “Lo può ben dire.”

La musica new age era stata interrotta per tornare alla canonica Marcia Nuziale di Mendelssohn che accompagnava l’ingresso, dal fondo del salone, di due camerieri che avanzavano spingendo un carrello al centro del quale, altera, era piazzata una torta a quattro piani cilindrici, ogni piano rivestito con fiorellini multicolore a pasta di zucchero, sulla sommità le figure stilizzate dei due sposini e alle loro spalle, un cuore definito dal solo contorno rosso fragola.

L’occhio bionico di Franco puntò l’interno della torta. Non capì se fosse per colpa del Pan di Spagna con crema Chantilly della farcitura, non amava quel genere di ripieno, o se l’invidia per la genuina felicità di Erminio e della sua consorte, fatto sta che inclinò il busto sul lato sinistro e con la mano trafficò per aprire la valigetta che portava sempre con sé. Fra poco Giulia avrebbe avuto risposta alla propria curiosità.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Se avesse intitolato questo posto “Il caporello” , invece di “Un bottone grande e grosso” avrebbe avuto decine di commenti.

PuroNanoVergine ha detto...

@Anonimo Il marketing non è mai stato il mio forte :-)

Anonimo ha detto...

Meglio! Pochi ma buoni! Buon Ferrarrosto, signor PNV.

PuroNanoVergine ha detto...

@Anonimo A lei, anche se in ritardo

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