Te ne fai una ragione: il sabato
mattina in Posta lo passi in coda, una coda che nel mio caso, minuto più, minuto
meno, è prossima all’ora.
Te ne fai una ragione perché
incazzarsi non serve, non puoi nulla contro la lentezza esasperante (ma tu, che
te ne sei fatto una ragione, non ti esasperi) degli impiegati.
Credo vi sia una mutazione
genetica alla base, qualcosa nel loro DNA che li renda lenti, a prescindere dal
fancazzismo d’ordinanza.
Sono ritardati, nel senso che si
muovono in ritardo.
Iporeattivi, non corrono il
rischio squalifica per partenza anticipata in una finale dei cento metri piani.
Vivono in uno stato di perenne
dormivaglia.
E poi non è solo colpa loro, la
lentezza umana va di pari passo con quella tecnologica.
Pigiano tastiere collegate a
computer di non so quale era geologica (me li immagino i fornitori di PC per le
Poste: “Che dici se gli mettiamo una RAM di 4Gb?”
“4Gb? Stai scherzando? 64Mb
bastano e avanzano.”; “E l’hard disk? Che si
fa? Risparmiamo con un 30Gb?” “30Gb? Ti sei
bevuto il cervello? 1Gb e andare!”; “L’antivirus?”
“Il virus, mettici un virus: quello che gli impalla la
stampante.”; “Questa motherboard mi sa che ha
dei problemi!” “Perfetto: ficcala dentro, che
un bel crash non si nega a nessuno.”)
Poi uno si chiede perché un sabato
è il PC dello sportello 1 che si è bloccato, il secondo sabato è quello dello
sportello 2, il terzo va ko la postazione 4, quello successivo sono fuori
servizio la 2, la 3 e la 6 (roba che potrebbero indire un concorso a premi, un SuperPostaLotto
per indovinare la combinazione vincente: azzecchi i PC indisponibili e in
cambio hai diritto a un posto in prima fila allo sportello 7, quello per
l’invio pacchi, l’unico che non preveda un computer).
E non è solo demerito di
impiegati e PC scafessi, perché la colpa è pure nostra, clienti impediti.
Su tutti i vecchietti
iporiflettenti, ipovedenti, ipoudenti, iPodmuniti (come vende i suoi prodotti la Apple, non li vende
nessuno), che sono lì, col loro bigliettino in mano e non s’accorgono che lo
schermo a LED rossi li ha appena chiamati, li invita a far presto, che si
presentino allo sportello 12 (ritiro pensioni), presto, ma loro non scattano,
non vedono, non sentono, non riescono a selezionare l’ultimo singolo di Lady
Gaga e quando finalmente si presentano davanti all’impiegato (che nel frattempo
sta cercando di riparare, con movimenti lenti e scoordinati, la stampante guasta
in dotazione) si scordano il motivo della loro presenza in quell’ufficio e
piangono, i più estroversi, oppure se ne escono, spalle curve, un filo di urina
che esce dalle sottane (kilt per gli uomini), i più introversi.
Per non parlare degli
extracomunitari che vengono qui a godere gratis delle nostre file del sabato
mattina in posta, a occupare i nostri sportelli con pretese assurde tipo pagare
le bollette della luce (pure la luce hanno, ‘sti scansafatiche), a depositare
soldi sul loro conto corrente (chissà dove hanno preso la grana), a inviare
raccomandate nei loro paesi di origine (come se là, là da loro, ci fosse la
posta), addirittura a ritirare il passaporto e siccome, pur giovani,
iperiflettenti, ipervedenti, iperudenti, non conoscono la lingua, finisce che
ti si piazzano davanti allo sportello per tre quarti d’ora almeno, l’impiegato
che mima, con movimenti lenti e scoordinati, che no, non va bene, per pagare le
bollette della luce devono esibire il passaporto, per depositare i soldi devono
esibire il passaporto, per inviare raccomandate devono esibire il passaporto,
per ritirare il passaporto devono esibire il passaporto…
* * *
Te ne fai una ragione: il sabato
mattina in Posta lo passi in coda, una coda che nel mio caso, minuto più,
minuto meno, è prossima all’ora, un tempo che in fondo è quasi volato, basta
non indispettirsi, tanto più che lo schermo a LED rossi segna A29 e tu hai in
mano il tuo bel bigliettino con sopra impresso un A31 sbiadito, due soli utenti
ti precedono e poi sarà il tuo turno.
* * *
Sei lì, seduto sulla seggiola in
legno quando vedi entrare una ragazza mora, camicia azzurra a quadri con
scollatura incorporata, è la prima cosa che noti, subito seguita da un paio di
jeans attillati e le scarpe rosse tacco 8.
La osservi mentre nervosa pigia
il pulsante per ottenere il bigliettino per la fila (ti immagini un A45,
perlomeno, a giudicare dalle persone presenti nell’ufficio) per poi guardarsi
intorno, notare un posto incredibilmente libero proprio a fianco della
postazione dove tu, piccolo nano A31 sei posizionato, dirigersi rapida verso di
te, sedersi, accavallare le gambe e darsi una sistemata alla camicetta in modo
che la scollatura venga ulteriormente evidenziata.
“Mio Dio! Questo ufficio il
sabato mattina è sempre pieno!” esordisce rivolgendoti la parola.
Impreparato al miracolo, una
semidea dotata di quarta coppa B che ti degna di attenzione, sei in grado solo
di ribattere con un impacciato:
“Giu… giusto.”
“Colpa degli impiegati,
fancazzisti decerebrati, lenti come la morte.”
“Giu… giusto.”
“E dei computer che usano,
carrette che si rompono ogni due per tre.”
“Giu… giusto.”
“E poi anche gli utenti fan
perdere del gran tempo.”
“Giu… giusto.”
“I vecchi, non parliamone,
perdono il turno, dimenticano perché sono qui, poi piangono e si pisciano pure sotto.”
“Giu… giusto.”
“E gli extracomunitari, che
occupano abusivamente i nostri sportelli e mai una volta, dico una, che si
ricordino di portare con sé il passaporto.”
“Giu… giusto.” la ragazza mi ha
tolto le parole di bocca (e il fiato per cotanta bellezza scollacciata).
“E così si perde sempre del gran
tempo. Lei…” un Lei pronunciato con un sorriso a 32 splendidi denti “… Lei da
quanto tempo è in fila?”
“Giu… giusto.”
“Giusto? Le ho chiesto da quanto
tempo è in fila.”
“Ops, scusi, l’emozione, una semidea,
che mi parla, sa, non capita mai, comunque sarò in fila da almeno un’ora.”
“Sia più preciso.”
“Ma come posso… posso essere più”
“Dia qua” nel terminare la frase
Afrodite mi toglie il bigliettino di mano, lo osserva attenta, sembra fare due
conti mentalmente per poi uscirsene con un:
“Sul suo biglietto è indicato
l’ora del prelievo del medesimo. Le 9 e 21. Ora sono le 10 e 24, quindi è in
attesa da ben 63 minuti. Un’eternità!” nel terminare la frase Afrodite mi riconsegna
il biglietto.
“63 minuti.” ripeto pappagalloso,
due poppe quarta coppa B a ipnotizzarmi, nell’esatto istante in cui lo schermo
a LED rossi segna l’A31 agognato.
Mi risveglio dal torpore
mammellare, faccio per alzarmi dalla seggiola in legno, ma vengo preceduto
dalla mora semidea che si lancia a passi decisi verso lo sportello numero 4.
“Signorina, scusi, tocca a me.”
le sussurro (sono timido, non oserei alzare la voce in un luogo pubblico)
sventolando il mio bigliettino sul quale è stampato… inspiegabilmente… un A45
sbiadito.
* * *
“Signora, come può essere il suo
turno? È entrata cinque minuti fa nell’ufficio!” la domanda è formulata da una tipa
corpulenta, un’impalcatura a sorreggerle la bionda cotonata e ossigenata
chioma, una domanda che mi toglie le parole di bocca, la mia boccuccia rimasta
aperta, l’espressione ebete di chi conosce la risposta al quesito posto alla
dea popputa, ma non può o non vuole svelarlo.
“Ha ragione, sono entrata da
poco, ma il Signore…” il Signore, pronunciato con un sorriso a 32 splendidi
denti, sarei io “… mi ha gentilmente offerto il suo biglietto. Sa, ho purtroppo
molta fretta e non potevo”
“Tutti abbiamo fretta” interruzione
della sergente di ferro, insoddisfatta della spiegazione.
“Mi spiace, ma cosa vuole, se non
le va bene si rivolga al Signore.” un
Signore pronunciato con un’espressione che denota ora un inspiegabile e
irriconoscente accenno di disprezzo.
“Se è così generoso perché non si
è offerto prima di cedere il proprio posto a qualcun altro? Magari a qualche
signora anziana che fa fatica a stare in fila per troppo tempo?” più che una
domanda è una sentenza di condanna senza appello che esce dalle labbra di
porpora truccate della sergentessa.
“Ma, sa, mi scusi, io, cioè, non
ci avevo pensato, poi entra lei, la semidea, mi parla, non succede mai che una
semidea, insomma, le porgo il biglietto, lei lo legge, poi me lo dà indietro,
era A31 e diventa A45, sarà stata una magia.”
“È sicuro di star bene? Che cosa
sta farfugliando?” insiste impietosa la giudicessa cotonata.
“Ma, sa, mi scusi, ora devo
andare, si è fatto tardi, ho un A45, sarà almeno un’altra ora di coda, allora
vado, salve, cioè, la semidea, forse mi ha fregato, forse, addio.”
* * *
Mi incammino a testa bassa per
evitare gli sguardi di disapprovazione dei presenti, sento solo un mormorio al
mio passaggio in mezzo alla “folla”, dei bisbigli rancorosi, dei “bietolone”,
“nano maiale”, “per due tette si è fatto infinocchiare”, “pippaiolo”, persino
un “liberaldemocratico” (per colpa del Foglio che impugno nella mano destra).
Esco dalla porta dell’Ufficio
Postale, un sospiro per recuperare un minimo di calma, poco prima che una
lacrima mi righi la guancia destra e contemporaneamente che una striscia
liquido giallognola faccia altrettanto sulla coscia sinistra.
6 commenti:
una volta alla tipa dietro lo sportello mio fratello urlò: "signora! il sol magna le ore!" e funzionò. ora lo serve sempre con gran zelo. prova :-)
Ma è tristissimo, 'sto post! Non riesco a credere che una gnoccolona la metta fuori uso con questi mezzucci, signor PNV. Sono delusissima!
@ciku
Dipende da chi trovi: in alcuni casi rischia di essere controproducente (tenuto conto che loro hanno il coltello dalla parte del manico).
@Silver Silvan
Purtroppo è così: la primavera, gli ormoni che si agitano, mi rendono stordito e abbindolabile più del solito.
@lisistrata
Non è il remake, ma l'originale :-)
Post da applausi, soprattutto la prima parte. Magari scrivessi io così (e nemmeno è un'arte che si può rubacchiare come fosse il bigliettino della fila alle poste)!
@Vanessa
Ti ringrazio (troppo gentile).
Personalmente, invece, preferisco la seconda parte.
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