Mercoledì sera, ore 20.
La sala da biliardo poteva
accogliere un numero esiguo di persone, non più di 4/5 spettatori che avrebbero
assistito, testimoni privilegiati, alla prima semifinale fra l’Alfieri e il Sor
Mario, diretti dall’imparziale arbitraggio del Gerosi (vero e proprio factòtum
della situazione).
I due delinquenti, per me questo
era l’unico appellativo possibile, parlottavano fra loro ogni tanto lasciandosi
andare a delle risatine, mentre il Sor Mario provava qualche tiro, più che
altro per prendere confidenza con un tavolo da gioco a lui in teoria poco
familiare.
Il biliardo si presentava in
condizioni precarie, col panno verde segnato da tanti piccoli punti bianchi, a
ricordo di vecchie bocciate e colpi di stecca.
Inoltre, a detta di alcuni “esperti”,
il piano di gioco non risultava perfettamente parallelo al terreno.
La concentrazione del Cannibale
di Latina, la naturalezza con la quale accompagnava le biglia lungo il biliardo
avvicinandosi al pallino, il movimento rapido e sicuro del polso nei tentativi
di bocciata, mi sorpresero.
Per la prima volta lo osservavo
in quelle vesti, l’impressione era però buona, mi dava nuova speranza
sull’esito finale del match.
Avevo già deciso di non assistere
all’incontro che sarebbe terminato al raggiungimento, da parte di uno dei due
giocatori, di quota 25 punti (una via di mezzo fra i 12 delle bocce e i 50
delle boccette).
Non avrei resistito
nell’osservare il trionfo truffaldino del “salumiere di provincia” sotto lo
sguardo benevolo e compiacente dell’ex vigile urbano.
Uscii dalla sala e tornai al
campo di bocce per valutarne le condizioni.
Il livello dell’acqua era calato,
non pioveva da diverse ore, un sole esitante si era presentato verso le cinque del pomeriggio e
almeno in parte aveva svolto il proprio compito di prosciugatore naturale.
Se il tempo avesse retto, come
dichiarato dagli infallibili meteorologi dell’Osservatorio di Lugano, il giorno
seguente il torneo di bocce si sarebbe concluso con tre incontri, per
l’appunto, di bocce.
Meglio non pensarci..
Avrei finito con l’incavolarmi di
nuovo senza poter far nulla per riparare al torto subito.
Allontanatomi dal campo entrai
nel bar del villaggio.
“Un vermut, per favore”
“Un vermut? Ma se fino a
ieri bevevi Coca Cola con una fettina di limone?!” mi rispose sorridendomi
Elios, il barista.
“Un vermut” ribadii poco
convinto.
Non ci si ubriaca forse per
dimenticare?
Non dovevo cancellare dalla testa
il ricordo di una ragazza che mi aveva rifiutato o chissà quali altri sventure
tipiche dell’adolescenza, ma qualcosa di ben più grave.
Ero un uomo a tutti gli effetti
ormai, la vita mi aveva mostrato, nel comportamento irregolare, nella truffa
combinata del duo Alfieri-Gerosi, quanto potesse essere crudele.
A sedici anni vittima
dell’ingiustizia sportiva e della malvagità del genere umano!
“Ma va là, prendi questa che è
molto meglio del vermut! Stavolta offre la casa” fu la risposta di Elios mentre
mi allungava una lattina di Sprite.
Uscii dal bar e mi diressi verso
la sala da biliardo.
Erano le 20 e 37.
Percorrevo a passi piccoli e
lenti il breve tragitto che mi separava dal luogo del delitto, rimuginando la
decisione da assumere in merito al torneo.
Ritirarsi lasciando via
libera al muratore Saverio?
Proseguire sfidando, in caso di vittoria nella semifinale, l’Alfieri in un
incontro che mi avrebbe visto soccombere?
La decisione fu più semplice del previsto.
Avrei optato per la seconda
ipotesi riproponendomi però di riservare una sorpresa finale per il vincitore e
il suo giudice collaborazionista, durante la cerimonia di premiazione.
Mentre la gente avrebbe
applaudito il primo classificato io, al suo fianco, avrei alzato il braccio
sinistro in segno di protesta, un guanto nero a coprirmi la mano, come avevo
visto fare in televisione da due atleti di colore americani, alle Olimpiadi di
Città del Messico del 1968.
Di fronte allo stupore dei
più mi sarei impossessato del microfono che il Gerosi teneva in mano, microfono
usato poco prima per richiamare sul palco i tre premiati, e avrei rivelato alla
platea degli ignari villeggianti la frode perpetrata dalla coppia di
mascalzoni.
Rinfrancato dall’immagine
del sottoscritto, nelle vesti di fustigatore delle altrui nefandezze, entrai
nella sala da biliardo.
Mi fu impossibile non dare
un’occhiata immediata al punteggio: 23 a 11.
Il trionfo dell’Alfieri era
prossimo a realizzarsi.
L’Alfieri.
Seppure a un passo dalla
vittoria non lo vedevo raggiante come la sera dell’amichevole nella quale mi
aveva sconfitto con 35 punti di distacco. E sì che questa volta la posta in
gioco era ben più alta, tanto che per farla propria si era escogitato un abile
raggiro favorito dalle condizioni meteorologiche.
Dal “23 a 11” il mio
sguardo si spostò sulla camicia a quadrettoni dell’Alfieri che mostrava
evidenti chiazze di sudore nelle zone ascellari e (persino) nella parte
superiore della schiena.
Eravamo in Luglio, ma in un
piccolo paese di montagna, dopo una giornata col tempo variabile, la
temperatura sfiorava all’aria aperta a malapena i 20 gradi: nella sala da
biliardo i 21, forse 22.
Non era il clima a
determinare l’iperidrosi del semifinalista.
Il sudore dell’Alfieri, le
gocce gli scendevano anche lungo la fronte senza che lui se ne rendesse conto,
andava di pari passo con il broncio del Gerosi che proprio in quell’istante
annunciò il 24esimo punto conquistato… dal signor Mario.
Nella convinzione della
superiorità del “salumiere” avevo erroneamente associato gli 11 punti al
giocatore di Latina.
In quel momento, nel
guardarlo con attenzione, ritrovavo nel Cannibale la fredda impassibilità che
era solito mostrare sul campo da bocce.
Serio e determinato
nell’andare a punto o nel colpire con forza le biglie avversarie.
A sostenerlo come unica
tifosa la moglie, che in realtà divideva la propria attenzione fra quanto
avveniva sul panno verde e un maglioncino di lana che stava preparando, lei
abile nel lavoro a maglia, per la nascita della futura nipotina che l’autunno
successivo l’avrebbe resa nonna per la prima volta.
“La partita è chiusa.
Punteggio finale: 25 punti per Mario Sidoti, 11 per Giambattista Alfieri”
annunciò con tono funerario un costernato Gerosi.
Nell’avvicinarmi per
stringergli la mano, sentii il Sor Mario rivelare a due villeggianti, che si
stavano congratulando con lui, la seguente verità:
“Bocce o boccette fa uguale.
So’ forte co’ tutte e due. Anzi, co’ e boccette ciò pure vinto er nazionale pe’
i minori de 16 anni, quanno ero regazzino. Si non era pe’ mi padre, che nun
glie piaceva la compagnia che bazzicava er biliardo, me sa che facevo pure
cariera”.
Stretta la mano al
Cannibale notai l’Alfieri uscire con mestizia dalla sala, nella totale
disattenzione dei pochi presenti.
Il Gerosi rimase in qualità
di arbitro della seconda semifinale che di lì a poco mi avrebbe visto sfidante
(vincente) di Saverio, il muratore di Luino.
Il pomeriggio seguente, in
un giovedì segnato da un fortissimo temporale estivo, che per una buona
mezz’ora si trasformò in una grandinata memorabile, persi per 25 a 1 la finale
con il Sidoti.
Il torneo si era concluso
rispettando in pieno i pronostici.
Mi ero sbagliato quando al
Gerosi avevo risposto che:
“Terminare a boccette
significa stravolgere i rapporti di forza fra i quattro semifinalisti.”
La classifica finale
rispecchiava il valore tecnico del Sor Mario, primo indiscusso, del sottoscritto,
giovane di belle speranze, dell’Alfieri, astuto e sleale competitore e di
Saverio, il meno brillante della compagnia.
A pensarci bene in un’altra
cosa il Gerosi aveva visto giusto: in quanto a “precisione” nelle previsioni
meteo, il colonnello Bernacca non aveva nulla da temere dai suoi colleghi del
Canton Ticino.
11 commenti:
Mah, questa serie di post sulle bocce e le boccette mi ha lasciata perplessa. Capisco che il tema delle bocciature è molto d'attualità in questo periodo, ma questa rievocazione di fatti lontani nel tempo dove vuole andare a parare? E dov'è la gnocca di turno?
dov'è? elementare watson. è nel commento...
Ah, ecco, ora mi torna. Ciao, Emma!
@Silver Silvan
Mi spiace non si sia appassionata a una vicenda così tragica e formativa per il piccolo (di età) PNV :-)
La gnocca non deve comparire per forza in ogni racconto.
Emma è il suo nome?
@Anonimo
Ma compare comunque nei commenti (la gnocca), come giustamente hai notato.
Emma Watson, PNV, Emma elementare Watson. Poteva anche essere Emma Thompson, per dire, o Emma Peel (per chi se la ricorda). Ma essendo elementare è Watson.
Bellissimo due volte, mi piace il racconto, breve ma con una trama avvincente e una suspense sempre crescente.
Il finale a sorpresa è veramente ...una sorpresa, come nella vita dove le cose non accadono mai come uno si aspetta o si pensa che dovranno accadere.
In breve: ho letto con piacere e mi sono divertita ancor più che leggendo le tue storie tipiche, PNV, belle, ma con un sapore e colore differenti.
Purtroppo non vedo le gnocche (nei commenti? e chi potrebbe essere? Silver Silvan? non so) ma va bene ugualmente, il racconto è perfetto così com’è.
Per le gnocche c’è sempre tempo nei prossimi racconti.
Scusate, il mio commento è uscito doppio eppure ho cliccato una sola volta. Sefora
(Psss, ehi!,PNV, se hai conosciuto Bernacca, sei certamente entrato nella terza giovinezza!)
@Anonimo
Ok.
@Sefora Haboker
Grazie per l'apprezzamento.
Sulle gnocche concordo.
Ogni tanto devo "separarmene".
Su Bernacca posso dire di averlo visto quando ero piccino piccino (sono prossimo all'andropausa, ma ancora deve venire ;-)).
Esatto, mi riferivo ad Emma Watson, indiscutibilmente gnocca e pure sveglia, nei panni della mitica Hermione. Bravo, anonimo.
Signor PNV, ma ritiene che l'esperienza di cui ha raccontato sia stata così traumatica da averla segnato per sempre? Il mio nome è Silvana, signor PNV. Non mi definirei gnocca, ma piacevole a guardarsi sì. Il che, in un contesto cieco, è del tutto ininfluente.
@Silver Silvan
No, l'esperienza non mi ha segnato per sempre (nel racconto umoristico forzo certe situazioni), però mi ha aperto gli occhi sul fatto che vi fossero persone piccole piccole pronte a truffare anche in un contesto di poco, pochissimo, conto come un torneino di bocce in un villaggio turistico.
Ah. Sono perfettamente d'accordo con lei, signor PNV. La meschinità si rileva sempre nelle piccole cose, molto prima che nelle grandi.
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