domenica 24 febbraio 2019

Realismo magico metropolitano


Sono seduto in uno stato semicatatonico nel vagone della metro gialla.

Lo smartphone segna le 7 e 12 minuti.

Fermata: Stazione Centrale (incrocio fra metropolitana e ferrovia).

Si aprono le porte scorrevoli, un gruppo di pendolari, una decina di persone, entra rapido all’interno del vagone: tre studenti delle superiori, una coppia di amiche sulla sessantina (colleghe di lavoro?) che spesso incrocio nei quotidiani viaggi assonnati del mattino, un ragazzo maghrebino, un uomo dell’est Europa, anche lui presenza costante a quest’ora, altri viaggiatori sconosciuti e, buon ultimo, un signore anziano, prossimo agli ottanta, di media statura, i capelli bianchi lievemente ondulati, un paio di baffi grigi contrastanti con le sopracciglia nere, una somiglianza marcata con Gabriel Garcia Marquez.

Lo osservo incuriosito.

Apro Google sullo smartphone e digito: “Garcia Marquez… immagini”.

Rapido raffronto fra l’uomo in carne e ossa, in piedi in mezzo al vagone della metro, e le foto che il telefono mi propone.

Altro che somiglianza marcata: il tizio è Gabriel Garcia Marquez!

Indossa un cappotto verde che gli arriva alle ginocchia, un paio di scarponcini di camoscio marroni, con la mano destra si tiene a uno dei pali gialli della carrozza, una postura dignitosa, la schiena dritta, lo sguardo a esaminare la porta del vagone.

I miei occhi scrutano gli altri passeggeri che non si sono resi conto del viaggiatore illustre salito da poco.

Vorrei avvisarli, rivolgermi a voce alta, il tono trafelato, l’emozione nelle mie parole, per dire loro:

Ehi, avete visto? Lì, quel tipo, in piedi, anziano, col cappotto verde, non lo riconoscete? Possibile che non vi dica nulla? Quello è Gabriel Garcia Marquez, il premio Nobel, uno dei più grandi scrittori nella storia della letteratura, il padre del realismo magico, un mito vivente… cioè… no… è morto da qualche anno eppure ora è qui, sulla metro gialla di Milano, come un pendolare qualsiasi, in mezzo a noi, comuni mortali, che va dalla Stazione Centrale a Duomo o, forse anche oltre, San Donato, il capolinea, o ancora più in là, perché lui è Gabriel Garcia Marquez, Gabo, e per quanto si mischi alla gente, in fondo è pur sempre un premio Nobel, per di più morto... volendo, a bordo di questa metropolitana, potrebbe superare le Colonne d'Ercole di San Donato e arrivare fino a Macondo, unico passeggero per il quale l’ATM prolungherebbe la linea all’istante, un miracolo metropolitano rispetto agli anni di attesa, per noi milanesi, per avere quelle misere 4 o 5 fermate in più, fino alla periferia nord della città”.

Vorrei avvisarli, ma sono timido, immagino il loro sguardo interrogativo (per chi non conosce Garcia Marquez) o preoccupato (per chi lo conosce e sa che è morto da tempo) o ancora seccato (per chi, indipendentemente che conosca o meno lo scrittore, non gradisce il disturbo di un idiota che interrompe la visione delle pagine di Facebook o Instagram compulsivamente visualizzate sul cellulare).

Me ne sto zitto, gli occhi puntati su Gabriel Garcia che ha spostato a sua volta l’attenzione dalla porta del vagone a un ragazzo, uno studente diciottenne, pigramente appoggiato con lo zaino a un altro palo giallo della vettura, inconsapevole di essere nel mirino dello sguardo di un simile gigante.

Il ragazzo pigro con lo zaino, Gabo a osservarlo, il sottoscritto che fissa prima l’uno poi l’altro.

Fermata Duomo.

Mi alzo dal mio posto per avvicinarmi all’uscita.

Gabriel è ora alla mia destra, mezzo metro dietro di me.

Vorrei girarmi e ringraziarlo per le meravigliose pagine che mi ha donato, per avermi permesso di immedesimarmi in Florentino Ariza, per avermi concesso l’opportunità di dare un nome alla donna della mia vita, un nome che non fosse il suo, fin troppo comune, ma quello di Fermina Daza, per aver sperato, leggendo L’Amore ai tempi del colera, che il mio, di amore, avrebbe trovato compimento, non subito, non ora, ma dopo un’attesa lunga, interminabile, per la precisione 51 anni, 9 mesi e 4 giorni, alla fine della quale avrei smesso i panni del PuroNanoVergine per divenire altro: un amante corrisposto, un nanetto in grado di toccare il cielo con un dito (a dispetto del metro e diciotto di bassezza).

Vorrei girarmi, ma sono timido, immagino lo sguardo annoiato di Gabriel Garcia Marquez di fronte all’ennesimo lettore adorante che osa importunarlo con i consueti ringraziamenti, per le pagine immortali da lui scritte, i Cent’anni di solitudine, la Cronaca di una morte annunciata, l’Amore… con Fermina e Florentino e blablabla… blablabla.

Non mi giro, la porta del vagone si apre, esco di corsa dalla carrozza, neppure un ultimo sguardo per il vecchio Gabo, il passo affrettato del pendolare che deve acchiappare al volo la metro rossa diretta a Primaticcio.

9 commenti:

CirINCIAMPAI ha detto...

Linea magica, a Bande Nere ho visto scendere Tolstoj

antonypoe ha detto...

come scrittore (almeno nella traduzione che lessi tanti anni fa) non m'appassionò.
forse in questo caso sarebbe riuscito. buon giorno :)

PuroNanoVergine ha detto...

@CirINCIAMPAI
Bande Nere è sulla rossa.

@antonypoe
Anche le mie letture sono datate: se devo scegliere preferisco L'amore ai tempi del colera rispetto al più celebrato Cent'anni di solitudine.
Buona serata, vista l'ora.

CirINCIAMPAI ha detto...

Sono campanilista...sono rimasta appesa a Primaticcio :-D

H P L ha detto...

Ultimi nobel interessanti, Coetzee (1990) e Doris Lessing (2007), poi gli altri al massimo dignitosi (Saramago, Ishiguro... ma se hanno dato il nobel a loro, avrebbero dovuto darlo a molti altri/e ben prima). Alla fine, si tratta di priorità e tornaconto; se non hanno mai vinto il nobel Roth, Amélie Nothomb o la Capriolo, è perché già scrivevano relativamente poco prima, ora ancora meno... o nulla, nel caso di Roth ;)



Disquisizioni letterarie a parte, io comunque ho preferito i Cent'anni di solitudine. Ma probabilmente perché de "L'amore al tempo del colera" mi ha mezzo traumatizzato la versione cinematografica... °-°

Buonagiornata a tutte.

PuroNanoVergine ha detto...

@CirINCIAMPAI
Ok :-)

@H P L
Sui nobel interessanti non saprei cosa dire (mi è spiaciuto per Roth, di Saramago ho letto Cecità e devo dire mi ha impressionato per la sua potenza).
Non ho visto il film con la Mezzogiorno e al momento non ho tutta questa voglia di colmare la lacuna ;-)

H P L ha detto...

@ PNV: infatti Saramago è un nobel più che dignitoso (il suo capolavoro è, però, "memoriale del convento", spesso si cita "cecità" per non essere mainstream - non è ovviamente il tuo caso, hai detto che è l'unico che hai letto ;), è un peccato solo che al suo posto altri lo avrebbero meritato, secondo me, anche di più (De Andrè, Alan Moore -che non vincerà mai perché ga prevalentemente fumetti e quelli del nobel non se la sentono di ""abbassarsi"" a tanto...-, Leif Enger...).

I premi poi contano quello che contano, spesso poco o nulla. Sul resto del post, una volta avevo incontrato su un bus un tipo che all'inizio credevo fosse Hemingway, era identico :)

Buonagiornata.

PuroNanoVergine ha detto...

@H P L
Concordo sull'importanza relativa dei premi.
Gli Oscar, per esempio, non hanno mai premiato come miglior regia o miglior film Stanley Kubrick, tanto per dire.
Se lo re-incontri salutami Ernest ;-)

H P L ha detto...

@ PNV

Ahah non parliamo degli oscar, per favore ;)


(Se lo trovi - ma su anazom c'è - prova "Castaway on the Moon" di Lee Hae-Jun. Un Capolavoro come pochi, forse il miglior film post 2000, a oggi. Se gli academy fossero premi seri, questo film avrebbe dovuto vincerne una decina, senza esagerare... )

Buonaserata.

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