giovedì 31 ottobre 2019

Ora legale variabile


A differenza di molti, il ritorno all’ora solare non mi crea difficoltà nel dormire (dormo male 365 giorni l’anno), irritabilità nel carattere (sono un gran rompimaroni 365 giorni l’anno), stress e ansia (sono ansioso e stressato 365 giorni l’anno), ma mi deprime nell’umore (no, non sono depresso 365 giorni l’anno).

Le giornate che d’improvviso si “accorciano”, il sole che tramonta prima delle 18, mi buttano giù.

Come me, tantissime altre persone.

La soluzione, che si dice potrebbe adottare l’Unione Europea, consisterebbe nel mantenere l’ora legale per tutto l’anno.

Soluzione parziale.

Andrebbe bene, indicativamente, nei mesi primaverili (aprile, maggio) e a cavallo fra estate e autunno (settembre), ma risulterebbe del tutto insufficiente nei mesi invernali.

No, credo che dovremmo partire da un’esigenza primaria, un paletto invalicabile, un obiettivo da mantenere, costi quel che costi: prima delle 20 nessun tramonto.

Come ottenere un simile risultato?

Introducendo l’ora legale flessibile, una flessibilità variabile a intensità crescente: soft (un’ora) in aprile, maggio, settembre; media (due ore) in ottobre, febbraio, marzo; strong (tre ore) a novembre, dicembre e gennaio.

La coperta però è corta (faccio mia la vostra obiezione): sole di sera implica, in autunno / inverno, buio al mattino.

A parte il fatto che non vi è paragone, in termini di influssi sull’umore, fra veder nascere in posticipo la giornata (parto ritardato, ma pur sempre parto) e vederla morire prematura (ipotesi che va scongiurata con ogni mezzo!); in ogni caso, per i refrattari alla messa in moto mattutina, basterebbero uno o due caffè in più per superare la catalessi causata da un sole che non sorge prima delle 10 / 11; a parte questo, nulla vieta di avere la botte piena e la moglie ubriaca con un ulteriore accorgimento sull’orario giornaliero.

Mi spiego meglio.

Al mattino ora solare (alba che al più, d’inverno, fa capolino verso le 8).

Normale amministrazione fino alle 15 circa e poi, quando la luce inizia a calare e il sole preannuncia l’abbandono, ZAC!… lancette dell’orologio avanti di tre ore… le 18!

Soluzione ingegnosa! (sfido: è frutto della mia mente brillante).

Scoccano le 6 di sera? Esci dall’ufficio (sei entrato alle 9, otto ore di lavoro, mettiamoci pure la pausa pranzo, alle 18 si smamma).

Immagino le sdegnate reazioni confindustriali: ma come? Non sarebbero otto ore effettive di lavoro! Si tratterebbe di truffa ai danni dell’azienda!

E allora?

Lasciando stare inutili e oramai obsolete rivendicazioni della classe operaia, non è forse il padrone che nell’era dell’Industry 4.0 ci vuole misurare non in base a quanto si lavora, ma al raggiungimento degli obiettivi?

Detto fatto: si garantiscano gli obiettivi lavorando di meno, ovvero, traducendo, migliorando la produttività (in Italia siamo messi male in questa come in altre classifiche) per far digerire all’establishment il salto quantico ore 15 – ore 18.

E poi, ammettendo che il balzo produca effettivamente un calo del P.I.L., siamo sicuri che il calo in questione si tradurrebbe in peggiori condizioni di vita? Chi non ricorda le parole di Robert Kennedy (pure lui non gradiva l’ora solare) che denunciava come nel P.I.L. di una nazione non potessero entrare solo elementi prettamente economici, spesso a valenza negativa (la produzione delle armi, le spese per le prigioni, i programmi televisivi violenti, l’equipaggiamento della Polizia…) ma anche elementi all’apparenza meno tangibili, come il grado di felicità delle persone (Bob Kennedy aveva ragione: nel P.I.L. americano del 1968 furono considerati anche la pistola e i proiettili che lo fecero fuori il 6 giugno all’Hotel Ambassador di Los Angeles).

Poter volare, in un attimo, dalle 15 alle 18, farsi un Happy Hour (mai Hour fu più Happy) col sole, in pieno inverno: ditemi se non favorirebbe la felicità una prospettiva simile!

Anticipo la seconda obiezione: tagliando una, due, tre ore, avremmo giornate a tutti gli effetti più corti, i giorni passerebbero prima, e con i giorni i mesi, coi mesi gli anni, insomma invecchieremo più rapidamente.

Obiezione respinta: sarebbe un invecchiare più rapido con il “rapido” fra virgolette (le ho messe? Sì). A spanne, supponendo di avere alcuni mesi con le giornate di 23 ore, altri con giornate di 22 e altri ancora con giornate di 21 ore, si perderebbero, in un anno, fra i 10 e i 15 giorni.

Il risultato, su 80 anni di vita media, si tradurrebbe in 2, massimo 3 anni di anticipo sull’età calcolata con giornate piene di 24 ore: al posto di 80 anni ne denunceremmo 82, 83. Differenza trascurabile (non solo, vi immaginate l’effetto positivo di dichiarare ufficialmente TOT anni, dimostrandone TOT - Qualcosa?).

Ultima obiezione (più di tre non sono ammesse): aumentando l’aspettativa di vita si andrebbe in pensione più tardi. Problema che non si pone: se, ammettiamo, al posto dei 67 anni si alzasse il requisito a 69, non cambierebbe nulla rispetto ad ora (i 69 futuri, equiparabili, in termini di ore realmente lavorate, ai 67 di oggi). Senza contare che in un futuro si potrà sempre contare su una riproposizione di Quota 100 (o analoga normativa) per lasciarsi alle spalle in anticipo azienda, fabbrica, colleghi, capi, scioperi, promozioni…

E se anche la pensione risultasse posticipata non vedo, personalmente, motivo di lamentarsi.

Il salto dalle 15 alle 18, il sole che va a letto sempre, invariabilmente, alle 20, avrebbe nel quotidiano l’effetto di spostare il tramonto e, sul lungo periodo, sull’intero arco della nostra vita, quello di ritardare (seppur in modo fittizio) dapprima l’età nella quale si smetterà di lavorare e successivamente quella nella quale si smetterà di respirare.

Ci pensate?

Il nostro viale del tramonto sarebbe un viale del tramonto differito (oh mamma, che felicità!).


4 commenti:

Silver Silvan ha detto...

Lette le prime cinque righe, mi sembra di conoscerla molto meglio! Personalmente, io vado in letargo da giugno fino a settembre, poi ad ottobre mi riprendo: ricomincio a mangiare, a dormire, mi rimetto in moto e ritrovo le energie perdute. La sua idea non è peregrina, comunque: se l’anno fosse fatto di 350 giorni, riusciremmo con più facilità a calcolare quanti ne abbiamo vissuti, tanto per cominciare. Però sull’ora variabile, avrei da ridire: ha pensato ai vecchietti? Andrebbero in tilt! E con gli orologi, come la mettiamo?

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Ha ragione sugli orologi: andrebbero programmati (però con quelli digitali sarebbe fattibile).
Riprogrammare i vecchietti, invece, la vedo più complicata ;-)

Crazy time ha detto...

oddio, non ci sto capendo niente
valeriascrivee

PuroNanoVergine ha detto...

@valeria
Benvenuta.
Se ti può consolare pure io, scrivendolo, ho dovuto rileggerlo per vedere se il discorso reggeva (e non sono sicuro neppure ora)

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