sabato 8 maggio 2021

La fucilata di Goodwood

L’estate dell’82 aveva portato nel luglio l’indimenticabile Campionato del Mondo di Spagna, il trionfo degli azzurri, l’urlo di Tardelli, i gol di Rossi, la pipa del CT Bearzot, l’entusiasmo di Pertini.

Gioie vissute nel piccolo appartamento in una casa di ringhiera a Milano, coi genitori.

Le settimane successive trascorse, sempre coi miei, sulle colline della Valganna e l’agosto a Sarzana, da solo, ospite della sorella di mio papà (e dei suoi quattro terribili figli, compagni cugini di mille bisticci).

Inizio settembre: la scuola prossima alla riapertura, le giornate frescoline, il sole a tramontare sempre prima, alcune pedalate nel pomeriggio con mio zio (uno dei due fratelli di mamma) per le strade della periferia di Milano.

La bici, una passione che avevo sin da bimbo, una Bottecchia da corsa, regalo d’amici di famiglia, come primo bolide da cavalcare.

Una passione che mi portava a passare ore e ore davanti alla tv per vedere le tappe del Giro d’Italia fra maggio e giugno e poi, a luglio, il Tour de France, oltre alla grandi classiche e al Campionato del Mondo.

5 settembre1982.

I mondiali si svolgono a Goodwood, sud Inghilterra, la nazionale italiana è fra le favorite, in particolare con i due ciclisti che in quegli anni sono le stelle del movimento, Giuseppe Saronni e Francesco Moser.

Una rivalità fra i due che ricorda quelle passate di Coppi e Bartali o di Gimondi e Motta.

Dovevi scegliere: il campione piemontese (ma lombardo d’adozione) o quello trentino.

La neutralità non era ammessa.

Io tifavo Saronni, ammiravo in particolare il talento che lo portava a vincere in volata numerosissime gare, una potenza esplosiva unita a un’intelligenza agonistica, un carattere forte, riservato, di poche parole, carismatico.

Nel mondiale il dualismo con il rivale (e nemico) Moser si risolse in favore di Saronni: dei due era il più in forma e il finale del circuito inglese (15km da ripetersi per 18 volte, oltre 275 km di percorso!) in leggera salita, era ritagliato alla perfezione per le doti atletiche del Beppe nazionale.

La domenica pomeriggio sul divano di casa, a fianco di mio padre, lui stravaccato con l’enorme pancia a forma d’anguria che appesantiva i suoi 55 anni, io ancora proprietario di un ciuffo di capelli biondi (persi nel giro di pochi anni), insolitamente in carne, vista la corporatura esile e la tendenza a mangiare poco.

La telecronaca Rai era interminabile e, a onor del vero, in molti tratti noiosa, con un rimpallo fra il telecronista per eccellenza, Adriano de Zan (solito riepilogare i nomi di tutti i ciclisti in gara, nazione per nazione, con numero di maglia, nome, cognome, in un rosario ciclistico infinito e soporifero), la spalla Giorgio Martino (che si alternava fra calcio e ciclismo), una voce “democristiana” per quanto mi suonasse priva d’energia e di guizzi scintillanti (come invece era in grado di trasmettere De Zan, nei momenti decisivi) e il commento tecnico dell’ex campione Felice Gimondi.

Ricordo poco della gara, se non il ritiro di uno dei favoriti, l’immenso Bernard Hinault, e il finale con il tentativo di fuga di una coppia, l’americano Boyer e lo spagnolo Lejarreta, con il secondo che a meno di un chilometro dall’arrivo cede di colpo, viene ripreso dal gruppo di circa 30 inseguitori (Moser e Saronni fra i componenti) e il primo che sembra avere la gara in pugno.

Mio padre si alza dal divano e si avvicina al televisore, un Brionvega 20 pollici del ‘63, a valvole, ancora funzionante.

Io lo imito mentre porto alla bocca un gelato al biscotto tre gusti (cioccolato, vaniglia e crema) della Eldorado.

Le telecamere, alla penultima curva, perdono per un attimo i ciclisti, si soffermano poco dopo in un primo piano di Boyer, la bocca spalancata per incamerare l’ossigeno necessario a dargli le forze per chiudere la gara.

L’atleta U.S.A. soffre, sembra non averne più, ma l’arrivo è così vicino che la medaglia d’oro dovrebbe adornarne il petto.

Invece… d’improvviso… alla sua destra, una maglia azzurra (il colore solo immaginato, vista la natura bianconerica del Brionvega), la numero 96, dei pantaloncini neri, invadono lo schermo, dovrebbe essere un ciclista, ma la velocità è tale che sembra un proiettile, un missile, un razzo… per un attimo la pallottola si volta a osservare Boyer e in quell’attimo realizzi che sì… è lui… è il tuo campione del cuore… quello che sin dall’inizio della telecronaca avevi sperato potesse trionfare… è Giuseppe “Beppe” Saronni… (De Zan a urlare “Ecco che scatta Saronni, è scattato Saronni!”) proteso in avanti, il corpo si è staccato dal sellino, il busto ondeggia nello sforzo, le gambe due stantuffi irresistibili, le braccia stringono forte il manubrio, ultima curva, in pochi metri il vantaggio dell’azzurro si è fatto voragine, Boyer è evaporato (l’acuto di De Zan: “Ecco che sta per apparire sull’ultima curva... Saronni è solo... aumenta il vantaggio... sentiamo il grido di Gimondi” e Gimondi, in realtà con un tono di voce flemmatico: “Sì, io penso lo meriti, e quindi è un onore per tutti noi italiani” e ancora De Zan: “Saronni campione del mondo” ripetuto tre volte, a ricordare la tripletta “Campioni del mondo” di Nando Martellini, neppure due mesi prima allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid).

Saronni che si rialza, porta le mani alla bocca, un bacio, alza le braccia al cielo, dietro di lui un altro americano, Greg Lemond (il giorno successivo la Gazzetta dello Sport titolò, con un gioco di parole, “Dietro Saronni, LeMond”) e il velocista irlandese Sean Kelly.

Mio papà che urla, il corpo massiccio fa tremare l’appartamento, io stringo forte il Biscotto Eldorado che si sbriciola, macchie di gelato ai tre gusti, cioccolato, crema, vaniglia, sui pantaloni bianchi indossati al mattino per la Messa, lavati e stirati il giorno prima dalla mamma, lei, spaventata per il bordello del marito e del suo unico figlio che molla i preparativi del minestrone serale e viene a vedere cosa sta accadendo.

Sguardo indagatore, il marito ritrova la consueta calma, la pancia anguria che smette di sobbalzare, il figlio, testa china, la vergogna delle macchie tricolori sui pantaloni, a evitare il rimprovero materno.

PNV, guardami!” l’ordine ineludibile.

Alzo gli occhi, il pentimento sul mio volto, sono colpevole di una triplice macchia che nessun lavaggio potrà mai cancellare, ma, d’improvviso, con un guizzo alla Saronni, mi alzo dal divano, le gambe due molle che mi staccano, per un attimo, dal pavimento. Ricado a terra. Il pentimento lascia il posto a un sorriso di contenuta sfida.

Lo so, non dovevo sporcarmi, mamma. Ma, insomma! Non capita tutti i giorni che Saronni vinca un mondiale!”

Lapidario arriva il perdono.

Sono contenta. Meglio lui di quell’antipatico di Moser”.


6 commenti:

Francesco ha detto...

io tifavo Moser

PuroNanoVergine ha detto...

@Francesco
Per via dell'omonimia?

Franco Battaglia ha detto...

Io tifavo Bertoglio. Uno sconosciuto che vinse il Giro grazie alla cronoscalata. Dopo quel Giro l'hanno cancellata dal programma.. ahahah buffoni!

PuroNanoVergine ha detto...

@Franco Battaglia
Bertoglio non lo conoscevo.
In effetti ai tempi di Saronni e Moser i Giri erano "facili", non amando i due le salite troppo pendenti, venivano disegnati percorsi senza asperità eccessive.

Sara ha detto...

Quando venivi a Sarzana andavi a Marinella?

PuroNanoVergine ha detto...

@Sara
In realtà mi zia viveva a San Terenzio, non proprio a Sarzana.

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