sabato 24 luglio 2021

Il Bus Tovaglia

Allungo di poco le gambe, stacco il sedere dal sedile e mi volto per chiedere al mio compagno di classe, Giampiero Lavanna:

“Lavanna, sai come si traduce Careless Whisper?”

Il brano esce dall’autoradio del conducente del bus, è il pezzo del momento, primavera 1984, gita scolastica della II A ITIS Galvani, quattro giorni e tre notti in Umbria.

Sussurro spensierato”, la risposta di Lavanna (a scuola ci si chiama tutti per cognome), il numero uno della classe, in inglese una garanzia assoluta, che siede in quarta fila della corriera, al suo fianco gli occhi azzurri e il biondo ciuffo di Elisa Panigada.

Grazie”, nel dirlo torno a sedermi composto, lo sguardo rivolto verso il davanti, l’ampio parabrezza del bus, sporco a dire il vero, a mostrare la strada che ci porterà da Perugia, dove alloggiamo in un albergo tre stelle mezza pensione, fino a Terni (la gita, nei giorni successivi, avrebbe poi toccato le località legate alla spiritualità umbra, da Assisi a Todi, da Cascia a Norcia, per conoscere i luoghi dove avevano vissuto San Francesco, Santa Chiara, Jacopone, Santa Rita e San Benedetto).

Principio di nausea.

Stomaco da sempre debole, l’atmosfera “ammuffita” dell’interno autobus e le curve prese spavaldamente dal conducente (un signore corpulento, la pancia che una camicia azzurrina fatica a contenere, due baffoni da sceriffo) iniziano a fare effetto.

O forse, a contribuire al malessere, la gelosia per la coppia potenziale (Lavanna / Panigada) che mi è apparsa mentre chiedevo la traduzione del brano di George Michael?

L’anno precedente ero stato compagno di banco di Elisabetta, era nata un’amicizia, le sue risate alle mie stupide battute, un sentimento potenziale, anticamera di un amore adolescente non esplorato, causa mia timidezza.

La nausea aumenta.

Rigurgiti di caffelatte che risalgono nell’esofago.

Con il braccio sinistro faccio toc toc sulla spalla del professor Luchini, un anziano insegnante di chimica, sordo come una campana, che ci fa da accompagnatore per la gita, seduto al mio fianco.

Inutile spiegargli a parole cosa sto provando: non sentirebbe.

La mano destra ad altezza della gola, movimento circolare del dito indice in avanti, per mimargli un rigurgito prossimo a esplodere.

Luchini avvisa il conducente, gli chiede se può gentilmente fermarsi, siamo su una stradina di campagna, l’ultimo cartello indicava il passaggio per Collepepe, un paesino medievale abbarbicato su una collina.

Un “puuuuffff” accompagna il movimento di apertura della porta anteriore della corriera.

Scendo con Luchini che mi segue, pochi passi per sedermi su un sasso in mezzo a una piccola area di sosta, bordo della strada.

Caffelatte e biscotti Oro Saiwa si stanno arrampicando.

Occhiata di sfuggita al mezzo, soprannominato Bus Tovaglia (sulla sua fiancata è disegnata una simil tovaglia rossa a pois bianchi, con un piatto blu accompagnato da un cucchiaio, una forchetta e un coltello del medesimo colore).

I compagni di classe scendono pure loro per una boccata d’aria, le risate, qualche schiamazzo, un “Luchini culo!” urlato da Giovinazzo (ripetente) che le orecchie del prof non percepiranno, Lavanna e Panigada mano nella mano, fidanzatini di Peynet di fresca nomina.

Li vedo e… vomito.

I biscotti Oro Saiwa ancora interi escono come proiettili… ok, stop ai dettagli.

La fronte sudata, il corpo infreddolito, siamo in una tiepida mattina di metà marzo, ma per me è inverno pieno.

(quando San Francesco entrò in quel di Collepepe, accompagnato dai fedeli confratelli, frate Egidio, frate Leone e frate Bernardo, si fermò a contemplare il paesaggio, accarezzò un lupo daltonico e, rivolgendosi alla folla di fedeli accorsa, esclamò: “Laudato si’, mi’ Signore, per frate latte, lo quale è bono, e cum frate biscotto d’Oro, la gente tua sustenta”)

Pochi minuti per riacquistare un minimo di calore, asciugare il sudore con un fazzoletto di carta prestato dal prof e risalire.

Un “puuuuffff” accompagna il movimento di chiusura della porta anteriore della corriera.

Risiedo al mio posto, il sedile in stoffa consunta, grigiorosso, sul quale mi colpisce una scritta a pennarello nero (non l’avevo notata prima): un “Mirko & Vale” con cuoricino a circondare i nomi dei due innamorati.

Sguardo rivolto alla visione panoramica del parabrezza, uno scorrere di alberi, prati, costruzioni in pietra, campi coltivati, piccoli fiumiciattoli, che non posso apprezzare, ancora rintronato per la vomitata precedente.

Mirko & Vale” e il cuoricino.

Immagino, tre file dietro la mia, Lavanna e Panigada scrivere, con pennarello nero, un “Giampy & Eli” sulla logora stoffa grigiorossa dei loro sedili.

Palpitazioni di invidia del mio povero cuore affranto, il sangue che ribolle nelle vene, anzi no, nei capillari, in particolare in un capillare della narice destra.

Epistassi.

Disturbo che ha tormentato i primi anni di vita, disturbo che pensavo di essermi messo alle spalle (negli ultimi tempi non si era più ripresentato).

Mi sbagliavo.

Inclino all’indietro il collo, il sapore ferroso del sangue scende nella gola, incrociando i residui del caffelatte misto ai biscotti Oro Saiwa.

Con il braccio sinistro faccio toc toc sulla spalla del professor Luchini, l’autoradio ha sostituito George Michael con Julio Iglesias (“Pensami, tanto tanto intensamente, con il corpo e con la mente, come se io fossi lì...”), il conducente fischietta il brano, il prof si volta e comprende, nella sua sordità, che sarebbe meglio fermare una seconda volta il bus.

Con la coda dell’occhio osservo la sfilata dei compagni di classe mentre scendono e occupano uno spiazzo sterrato in prossimità di Collevalenza.

(quando San Francesco entrò in quel di Collevalenza, accompagnato dai fedeli confratelli, frate Filippo, frate Masseo e frate Ginepro, si fermò a contemplare il paesaggio, accarezzò un orso strabico, e, rivolgendosi alla folla di fedeli accorsa, esclamò: “Laudato si’, mi’ Signore, per frate naso, lo quale zampilla di gioia, e cum rosso gaudio la gloria Tua annuncia”)

Luchini ha recuperato, non so come, del cotone emostatico che mi sono infilato nella narice destra.

Lo sai il principio di funzionamento del cotone emostatico?” mi chiede tutto eccitato.

Muovo delicatamente la testa per mimargli un no.

Tutto merito dell’alginato di calcio!” mi urla, inconsapevole del volume spropositato della sua spiegazione.

Muovo delicatamente la testa per mimargli un sì, si prof, ho compreso.

Pochi minuti, il tempo di fermare l’emorragia e vedo, in senso inverso, di risalita, la processione dei compagni di classe.

Lavanna ed Elisa Panigada risalgono, lei davanti, lui dietro ad accarezzarle i biondi capelli dal taglio simil Madonna.

Nausea e sangue, sangue e nausea.

Nausea, sangue, invidia e gelosia, gelosia e invidia, fate voi.

La corriera riprende la marcia, Terni si avvicina, la II A Itis Galvani rumoreggia festosa all’interno del Bus Tovaglia, Luchini con lo sguardo beato e il pensiero, immagino, rivolto al potere miracoloso dell’alginato di calcio, Giampiero Lavanna ed Elisa Panigada in fase di limonamento duro tre file dietro il sottoscritto (non li vedo, ma ne sono sicuro), lo sceriffo alla guida fischietta l’ultimo Albano e Romina, “Ci sarà”, i baffoni che si muovono sincronizzati mentre dall’ugola del conducente escono i versi memorabili:
“Ci sarà, una storia d’amore e un mondo migliore...”.

Sì, una storia d’amore, la storia di Giampy ed Ely.

Sì, un mondo migliore, quello degli altri.

Per il sottoscritto un presente di nausea, epistassi, invidia e gelosia, in prima fila, su una vecchia corriera dall’aria stantia, i sedili di stoffa consunta, il parabrezza sporco, Albano e Romina che cantano beati, i baffi dell’autista che ritmicamente si alzano e abbassano, il mio umore che si abbassa e basta, Terni che si profila all’orizzonte, un orizzonte di sconsolata solitudine.

(quando San Francesco entrò in quel di Terni, accompagnato dai fedeli confratelli, frate Ruggero, frate Guglielmo e frate Tarcisio, si fermò a contemplare il paesaggio, accarezzò un asino astigmatico e, rivolgendosi alla folla di fedeli accorsa, esclamò: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora solitudine, che al cor dello infelice lagrimante, dolce susurra: ‘sia tu gaudente’ “)

11 commenti:

Silver Silvan ha detto...

Ho la netta impressione che in gioventù non si sia divertito granchè.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Vero, poi un anno non era uguale all'altro.

Silver Silvan ha detto...

Mi spiace. Io constatavo proprio poco fa, con amarezza, che mi sono divertita molto di più nel ventesimo secolo che nel ventunesimo. Anzi, il ventunesimo e proprio una sòla, non è divertente manco un po’.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
E' meno divertente, ma molto più movimentato.

Silver Silvan ha detto...

Sta scherzando?! Gli anni Settanta sono stati movimentatissimi! Oops, lei non era nato.

PuroNanoVergine ha detto...

@Silver Silvan
Ero un bimbo, però alcune cose le ricordo bene (il sequestro Moro, Borg, Saronni, i mondiadi d'Argentina, Maria Giovanna Elmi, Sandokan, le elezioni politiche col PCI sempre secondo...)

Filippo ha detto...

In una fredda e ventosa giornata d’inverno, San Francesco d’Assisi e frate Leone erano sulla strada che da Perugia portava a Santa Maria degli Angeli. Frate Leone chiese a Francesco:

“Padre, te lo chiedo nel nome di Dio, dimmi dove si può trovare la perfetta letizia”.

E san Francesco gli rispose così:

“Quando saremo arrivati a Santa Maria degli Angeli e saremo bagnati per la pioggia, infreddoliti per la neve, sporchi per il fango e affamati per il lungo viaggio busseremo alla porta del convento, e il frate portinaio chiederà:

Chi siete voi?

E noi risponderemo:

Siamo due dei vostri frati.

E Lui non riconoscendoci, dirà che siamo due impostori, gente che ruba l’elemosina ai poveri, non ci aprirà lasciandoci fuori al freddo della neve, alla pioggia e alla fame mentre si fa notte.

Allora se noi a tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo con pazienza ed umiltà senza parlar male del nostro confratello (…) scrivi che questa è perfetta letizia.

E se noi costretti dalla fame, dal freddo e dalla notte, continuassimo a bussare piangendo e pregando per l’amore del nostro Dio il frate portinaio perché ci faccia entrare, e lui ci dirà:

Vagabondi insolenti, la pagherete cara.

E uscendo con un grosso e nodoso bastone ci piglierebbe dal cappuccio e dopo averci fatto rotolare in mezzo alla neve, ci bastonerebbe facendoci sentire uno ad uno i singoli nodi.

Se noi subiremo con pazienza ed allegria pensando alle pene del Cristo benedetto e che solo per suo amore bisogna sopportare, caro frate Leone, annota che sta in questo la perfetta letizia. Ascolta infine la conclusione, frate Leone: fra tutte le grazie dello Spirito Santo e doni che Dio concede ai suoi fedeli, c’è quella di superarsi proprio per l’amore di Dio per subire ingiustizie, disagi e dolori.

(Anonimo, “Fioretti di San Francesco”)

Silver Silvan ha detto...

Mi spiace aver perso qualche minuto a leggere il commento sopra: tempo sprecato. Un vero mortorio.

Signor PNV, è le Brigate Rosse? I gambizzati? Gli attentati? La guerra fredda? Gli allucinogeni? Il libero amore? Il sesso sfrenato (e non c’era manco l’AIDS)? Il rock maledetto? Che cacchio, gli anni Settanta sono stati molto più movimentati del ventennio passato. Un vero mortorio.

PuroNanoVergine ha detto...

@Francesco
Grazie per il brano, il mio riferimento a San Francesco era scherzoso, non irrispetoso.

@Silver Silvan
Certo, sono successe moltissime cose (mi viene in mente la New Hollywood nel cinema, le radio libere, i referendum su divorzio, aborto...)

fracatz ha detto...

anni 70 e sesso sfrenato, sì ma solo se sposati con femmina gajarda

Silver Silvan ha detto...

Signor fracatz, non mi sarei mai aspettata un simile commento proprio da lei! Negli anni ‘70 c’era un atteggiamento estremamente libero nei confronti del sesso, delle relazioni aperte, ecc. Sicuramente, le donne erano molto più libere allora. Ora sono libere di girare col culo di fuori e di farsi le tette fuori misura, ma muoiono come le mosche.

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