Il signor Alfieri gongolava tutto
alla fine della partita, appena conclusasi sul 50 a 15 in suo favore.
Si muoveva leggiadro lungo
il tavolo da biliardo con una grazia che non gli avresti dato, visti i cento e
passa chili che si portava dietro.
A vederlo entusiasta, la pancia
prominente, il doppio mento, la camicia a quadrettoni aderente al corpo, i
pantaloni sorretti da due bretelle marroni (nell’insieme la figura che
ricordava un salumiere di provincia), veniva da sorridere.
Mi divertiva pensare come un’innocua
sfida a boccette, giocata in una calda serata di Luglio, in una piccola sala da
biliardo, in un villaggio turistico del varesotto, fra lo stesso Alfieri e il
sottoscritto, sedicenne brufoloso che a malapena conosceva le regole alla base
del gioco, potesse suscitare nell’omone che avevo di fronte tanta contentezza.
Ad ogni colpo azzeccato, ad ogni birillo abbattuto, col
punteggio del mio avversario che rapido si incrementava, l’Alfieri si
sbrodolava nell’elogio personale:
”Sai, sono stato campione provinciale
quando avevo la tua età” commentava, fissandomi con un’occhiata che esprimeva
compatimento.
“Ora guarda cosa ti invento” e
via con un colpo a tre sponde che terminava con la sua biglia a spingere
delicatamente il pallino sul castello dei birilli.
Io mi arrabattavo come potevo,
non ero in grado, non avendo mai giocato prima d’allora, di calcolare
traiettorie, di immaginarmi tiri elaborati che andassero oltre il semplice
centrare in modo diretto le biglie dell’Alfieri o il tentare un’approssimazione
al pallino per fare punto.
Unica consolazione era pregustare
un’ipotetica rivincita nel torneo di bocce che negli stessi giorni si svolgeva
nel villaggio turistico e che giunto alle semifinali mi vedeva in lizza con
l’Alfieri medesimo.
Nelle bocce era un’altra storia:
conoscevo le regole e le tattiche di gioco per il quale, sin da piccolo, avevo mostrato di possedere
una naturale predisposizione.
Buon puntista, ma soprattutto
ottimo bocciatore.
L’Alfieri se le cavava
discretamente anche se il fisico gli rendeva difficoltoso abbassarsi quando
lasciava la boccia, per andare a punto, e ancor di più mantenere un buon
equilibrio nel prendere una (per lui breve) rincorsa per colpire di raffa.
La rivincita era sì possibile, ma
non sicura.
Mi ritrovavo nella parte alta del
tabellone contro un “indigeno”, un muratore di Luino di nome Saverio, giocatore
grintoso ma non molto dotato da un punto di vista tecnico: stando alle
previsioni avevo ottime probabilità di giungere in finale.
L’Alfieri era al contrario nella
non facile condizione di affrontare il Sor Mario di Latina, un ometto sull’1 e
60, smilzo, sulla cinquantina, sempre abbronzato, solito indossare camicie
bianche sbottonate nella parte alta a mostrare una catenina d’oro con annesso
crocifisso, infallibile o quasi nella bocciata.
Il Sor Mario tempo addietro aveva
giocato a livello nazionale: in un torneo di poche pretese per villeggianti,
dotati nella stragrande maggioranza dei casi di scarso spirito agonistico, lui
appariva come Eddy Merckx in una gara ciclistica per dilettanti.
In teoria la finale mi avrebbe
visto sfidare il Cannibale del Pallino nella riedizione di uno scontro avvenuto
l’anno precedente e terminato con un netto 12 a 4 per il più quotato
contendente.
Le semifinali erano previste per
mercoledì, teatro della sfida il campo da bocce situato al centro del villaggio
turistico.
Si trattava a tutti gli effetti
di un campetto di second’ordine, all’aperto (circondato da piccoli alberi
piantati due anni prima lungo i lati) con le assi di legno in più parti
rovinate e con un segnapunti rotondo in ferro arrugginito.
Le bocce in dotazione erano verdi
e rosse di dimensioni fra loro differenti.
Solo il Sor Mario, unico
“professionista”, utilizzava bocce personali che, poco prima di effettuare il
tiro, strofinava e ripuliva dai granelli di sabbia con il canonico straccetto
in pelle dal colore giallo.
9 commenti:
E poi?!
@Silver Silvan
E poi ci saranno una II e III parte...
Aaaah, 'mbè.
Dunque, ci saranno altre puntate, in effetti mi sembrava che ci fosse qualcosa di incompiuto nel racconto.
Devo dire che mi piace come è scritto. Noto una cosa, anche se non da moltissimo ti leggo, PNV. Forse sbaglio ma mi sembra che lo stile e gli argomenti siano cambiati, mi sembra che adesso ci sia una ricerca, quasi un frugare attento, meticoloso, quasi nostalgico tra i ricordi personali e questo ha condotto inevitabilmente anche a un trasformazione, a un’ evoluzione dello stile, del modo di “porgere” di PNV. Magari sbaglio, ma a me sembra così. Comunque, bello.
Sefora
scrivi bene e lo si sa. Io però ti preferisco nel genere letterario umoristico vivalepippe, dove mi fai scompisciare dalle risate
lisistrata
Più probabile che scriva qualcun altro. Scambiarsi i blog fertilizza l'ispirazione, sembra.
@Sefora Haboker
Non sbagli, anzi hai colto in pieno il cambiamento.
Non è un cambiamento definitivo, ma in queste settimane mi viene più naturale, direi che è esigenza vera e propria, mostrare un PNV diverso dal solito.
@Lisistrata
Torneranno le pippe, al momento opportuno.
@Silver Silvan
Non conoscevo la pratica (insana) dello scambismo dei blog (me ne terrò alla larga ;-))
Ahahahah, bravo!
Ah, potrei commentare il suo ultimo post,
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