I
pomeriggi della mia infanzia erano contraddistinti dai compiti
scolastici e dalla visione in parallelo delle partite di tennis,
tornei come gli Internazionali di Roma, l’indoor a Milano, o i più
importanti Slam (Wimbledon, il Roland Garros parigino) trasmesse
all’epoca dalla RAI in chiaro (le tv a pagamento un futuro remoto,
neppure immaginabile), in bianco e nero (un Brionvega 21 pollici del
1961 al centro del salotto di casa), con il commento tecnico di
Bisteccone Galeazzi (ogni tanto sostituito, se ricordo bene, da Guido
Oddo).
La
maratona iniziava dopo pranzo, intorno alle 14 – 14:30, proseguiva
per alcune ore, fino alle 18:30 – 19, e oltre, con il sottoscritto
che da un lato tentava di risolvere i problemi di matematica, di
scrivere il temino d’italiano, di imparare a memoria gli affluenti
della Dora Baltea e della Dora Riparia… dall’altro si concentrava
sui match che vedevano avversari Borg contro Connors, un giovane
McEnroe e un Lendl ancor più pischello, Adriano Panatta opposto al
poeta argentino Vilas, per terminare con uno sfibrante Barazzutti vs
Higueras.
Quest’ultimi,
ottimi giocatori, entrati nella top ten dell’ATP senza raggiungere
la vetta che era prerogativa dell’orso Bjorn, dell’odiato (dal
mio punto di vista) Mac, dell’insopportabile Jimbo e, in seguito,
del vampiresco Ivan, basavano il proprio gioco sulla regolarità,
sullo sfiancare l’avversario con interminabili scambi, facilitati,
nel caso della terra rossa, da colpi non eccessivamente rapidi
(all’epoca le racchette in legno impedivano il gioco di
impressionante potenza, anche da fondo campo, ora praticabile dai
vari Nadal, Djokovic, Federer, Thiem…) che allungavano a dismisura
la durata delle partite.
Il
non plus ultra della dilatazione temporale, che si univa a una noia
terrificante come telespettatore vittima della “frizzante”
partita messa in onda, lo si aveva quando il Corrado italico e lo
José iberico, si trovavano uno di fronte all’altro, incollati alla
linea di fondo (cascasse il mondo se uno dei due pensasse, neppure
lontanamente, di tentare un attacco con chiusura in volèe del punto)
impegnati in palleggi estenuanti, basati unicamente sulla regolarità,
nell’attesa che l’avversario finisse con lo sbagliare per primo
il colpo.
Un
esempio su tutti, un pomeriggio di inizio autunno del 1977: Open di
Parigi (non il Roland Garros che si giocava e si gioca tuttora a
cavallo fra maggio e giugno).
I
quaderni e i libri di scuola sul tavolo del salotto, la televisione
di fronte, lo sguardo che fissava prima le pagine di storia da
studiare per l’interrogazione del giorno successivo per poi alzarsi
e dare un’occhiata al batti e ribatti da fondocampo, un eterno PUF
(Barazzutti), PAF (Higueras), PUF (Barazzutti), PAF (Higueras), con
la palla che pigra sorvolava la rete, rimbalzava controvoglia sul
terreno, veniva colpita di nuovo da Barazzutti (PUF), risorvolava la
rete, ritoccava terra, Higueras (PAF) a rispondere e di nuovo
Barazzutti che allungava la traiettoria della pallina (non più
parallela al terreno, ma arcuata, il PUF prolungato in un ancor più
lento PUUUUFFFF), e così via, una sequenza narcolettica di
PUF-PAF-PUF-PAF… gli occhi che mi si chiudevano, la testa che
crollava sulle pagine del libro di storia, l’abbiocco a condurmi
nel mondo dei sogni (in lontananza la voce di Bisteccone che
annunciava il primo game del match, vinto dallo spagnolo, un game
durato 11 minuti e 58 secondi!).
Tempo
di risvegliarmi, verso le 15, l’incontro sul 2 pari del primo set
(quattro giochi “volati via” in “soli” 43 minuti) e il
tentativo, da parte del sottoscritto, di concentrarmi sulla Prima
Guerra Punica (in sottofondo il PUF-PAF-PUF-PAF, interrotto da un
“OUT” urlato dal giudice di sedia, che sanciva la prima palla
break per Higueras) evitando di fissare lo schermo del Brionvega,
temendo che un secondo attacco di sonno risultasse fatale,
impedendomi di rimanere sveglio il tempo necessario a preparare a
dovere la possibile interrogazione del giorno dopo (in realtà il
tennis in tv rappresentava in ogni caso un potente diversivo che mal
si conciliava con l’apprendimento: se Barazzutti – Higueras era
nocivo in quanto letargico, i match fra Borg e McEnroe o fra Connors
e Lendl, per la loro spettacolarità e il coinvolgimento emotivo che
provocavano, mi deviavano dai compiti che un bravo secchione, dedito
allo studio, doveva “necessariamente” e quotidianamente portare a
termine).
Chi,
al contrario del sottoscritto, non soffriva la visione del
PUF-PAF-PUF-PAF italo-spagnolo, non mostrava segni di sonnolenza, ma
sfruttava, al contrario, la regolare cadenza dell’alternarsi di
diritti e rovesci dei due contendenti, era mia madre.
Non
che fosse particolarmente appassionata di tennis (lo seguiva con
superficialità: più che gli atleti del presente era solita parlare
di quelli della sua gioventù, su tutti Nicola Pietrangeli e Orlando
Sirola), ma era abile, o credeva di esserlo, nel sincronizzare le
proprie attività di (non disperata) casalinga con le immagini
provenienti dal tubo catodico.
Finito
l’impasto infilava la torta (una crostata di albicocche) nel forno.
Non
aveva bisogno di impostare il timer (fra l’altro guasto): dava
un’occhiata al match Barazzutti-Higueras (6-4 il primo set per
l’italiano) e calcolava di togliere il dolce in coincidenza con la
fine del secondo set.
Il
metodo escogitato da mia madre era rischioso: se il set fosse finito
al tie-break, dal forno avrebbe estratto una succosissima crostata
alle albicocche carbonizzate.
Per
sua e mia fortuna, la seconda partita si concluse con un “rapido”
6-1 per lo spagnolo (la torta sul bruciacchiato andante, ma
nell’insieme commestibile).
Soddisfatta
per il buon esito tennistico-culinario, la mamma mi esortò ad
applicare ai miei studi, alla loro durata, il medesimo sistema.
“PNV,
a che punto sei con il ripasso di Storia?”
“Sto
rileggendo la Prima Guerra Punica, mamma!”
“Ancora
alla prima? Ma la prof non aveva chiesto di portare tutte e tre le
guerre per domani? Quanto conti di studiare per prepararti a dovere?”
“Non
saprei, mamma, pensavo”
“Facciamo
un patto.”
“Dimmi,
mamma”
“Non
ti alzi da lì” (con la mano destra a indicare la mia postazione di
studio) “fin quando non termina la partita fra Barazzutti e
quell’altro spagnolo, come si chiama, Highe, Highe”
“Higueras,
mamma”
“Higueras,
giusto. Me lo prometti? Le guerre puniche fino alla fine
dell’incontro?”
“E
va bene, mamma” tono sconsolato da parte mia, la depressione dovuta
alla prospettiva di rimanere incollato con le piccole chiappe di nano
scolaro fino all’ora di cena se la partita si fosse protratta…
… la
partita, con un colpo di culo memorabile (la fortuna dei nani
allergici alla Storia Antica) si interruppe a metà del terzo set (un
infortunio a Barazzutti decretò la vittoria e il passaggio alle
semifinali dello spagnolo), permettendomi di scendere al volo dalla
sedia, di abbandonare Annibale e Scipione l’Africano ai loro
destini (ero ancora ai preliminari della Seconda Guerra Punica,
avendo regolato il ritmo del mio studio con la placida monotonia del
PUF-PAF-PUF-PAF parigino), di scappare fuori dalla porta di casa,
prima che mamma potesse proferire parola (e poi, cosa mai avrebbe
potuto dirmi, che rimproveri poteva avanzare se il match, a dispetto
delle sue aspettative, si era chiuso molto prima del previsto?), il
cortile del condominio ad attendermi per delle interminabili, ma
divertenti, partite di pallaprigioniera con i miei amici bimbi,
compagni di gioco.
6 commenti:
Che roba... io guardavo solo cartoni animati. Non mi sarebbe mai passata per la testa una passione per il tennis. Qualcuno avrebbe dovuto iniziarmi.
@Filippo
Benvenuto.
Pure io guardavo i cartoni però abbinavo lo sport (come telespettatore :-)) e i soldatini (li usavo per partite stile subbuteo).
vergogna! preferire palla prigioniera al barcide!
ciao :)
@antonyoe
Cos'è il barcide?
annibale, detto il barcide. ciao
@antonypoe
ok, grazie.
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