domenica 28 maggio 2023

La Storia siamo noi

Sono seduta sul divano della sala, Sabrina e Flavio sono al lavoro, il televisore che Flavio ha acquistato il mese scorso, una bella tv dallo schermo piatto coi colori sgargianti, è sintonizzato sul 54. Mamma mia, canale 54! Mi fa impressione solo a pensarci, ai miei tempi c’era il Primo Canale, poi è venuto il Secondo e alla fine degli anni 70 Rai3… e Berlusconi. Il Brionvega 20 pollici che pesava un accidenti era in bianco e nero, non avevamo il telecomando, a volte rimanevi sintonizzata su una trasmissione per la pigrizia di doverti alzare e cambiare canale.

Sul 54, RaiStoria, mi sto godendo un bel documentario che parla della Fiat mentre tengo fra le mani una tazza di the verde al limone che mi riscalda. La vecchiaia porta pure quello: ti senti “fredda”, il sangue non scorre bene nelle vene, sei come una pianta che appassisce, hai voglia a bagnarla!, c’è poco da fare, pian piano perdi le foglie che si seccano e poi… plaff… cadono a terra. Sabrina insiste che devo mangiare di più, muovermi, non poltrire sul divano: “Ti ricordi quanto camminavi mamma? Eri sempre in movimento, di corsa, non stavi mai ferma un attimo!”, “Sì” le rispondo “ma avevo 40 anni, ero nel pieno della vita, un marito e due figlie da far crescere e il lavoro da portare avanti, mica come ora che ho superato gli ottanta e il cuore batte ogni tanto a vuoto”, “Le medicine, mamma, le medicine!” “Le medicine, figlia mia! Una pianta che sta morendo non la resusciti con le medicine”. Piccoli battibecchi fra noi, poca cosa in confronto alle litigate di quando Sabrina aveva vent’anni e si era portata a casa Eugenio… Eugenio… se ci ripenso…

La voce della giornalista accompagna le immagini di repertorio di una Torino che mi appare grigia, non capisco se per colpa della pellicola che col tempo diventa sfocata e perde i contorni chiari, svanisce il colore che dà sostanza alle cose, o se invece appare per quello che è, che era, una città del nord, come la mia Milano, che in autunno e in inverno grigia lo era davvero: che differenza con Foggia e il sole della Puglia! O, forse, il grigio predomina perché grigie mi appaiono le persone inquadrate dalla tv, un corteo di 40 mila impiegati, li chiamavano i colletti bianchi, molti in giacca e cravatta, impermeabile, non una tuta blu, non un camice d’operaio, che sfilavano contro il Sindacato, a fianco del Padrone, degli Agnelli, di Romiti, per difendere il posto di lavoro, dicevano, in realtà perché erano egoisti, tanto chi rischiava il licenziamento non erano loro... non ancora loro.

Che poi 40 mila era un numero sovrastimato, ne ho fatti io di cortei, per il lavoro, contro la guerra, per il 25 aprile, la Liberazione, il Primo Maggio, cantavo con tutte le mie forze l’Internazionale e quando cantavo la voce diventava squillante, per una volta spariva quella voce rauca, da uomo, che mi portavo dietro dai 16 anni. Ne ho fatti di cortei e a occhio capisco quanti vi partecipano. Lì, a Torino, nell’ottobre dell’80, i crumiri saranno stati 10 mila, forse 15, ma 40 mila proprio no. Comunque, lo sta dicendo la giornalista, quella marcia fu il segnale di una svolta, in peggio, finiva il periodo della conquista di diritti che noi lavoratori e prima ancora i nostri genitori, avevano con fatica guadagnato, lotta dopo lotta, sciopero dopo sciopero, fino alla Legge, lo Statuto dei Lavoratori che finalmente metteva nero su bianco quello che ci spettava. Ricordo ancora il coraggio di mia mamma, comunista orgogliosa, che non aveva paura a rivendicare la propria militanza, a voce alta pure quando a comandare c’era lui, il Mascellone!.

La tv parla di “reflusso”, la marcia dei 40 mila o quanti cavolo erano, segnava l’inizio di una fase nuova (hanno ragione a usare quel termine, viene a me il reflusso, la nausea, se ci penso), di un ritorno al passato, all’ognuno pensi per sé, ma quali colleghi, amici, compagni, non ha senso unirsi per essere più forti, ci si arrangia da soli, con l’idea che sia la scelta più conveniente. Illusi: è così che il Padrone ha la meglio, su tutti. Una fase nuova anche per la sottoscritta: no, non c’entrano le lotte sindacali, nel 1980 mi sono ritrovata sola con le mie figlie dopo la scomparsa di Andrea.

* * *

Ricordo quando mi candidai come delegata sindacale nella Postal Rapid. Eravamo una trentina di colleghe, tutte donne, la maggior parte di noi in nero. “Piera, ci serve una tipa tosta come te, una che sa tener testa al Dottor Dorini. Non puoi deluderci, pensa che bel terzetto di scassamaroni che saremmo noi tre per lui.” A dirlo era stata la Mariuccia, la prima delegata Filcams in Postal Rapid, con la sigaretta sempre in bocca, le labbra sottili evidenziate dal rossetto (da lei ho preso l’abitudine di usarlo), certe cotonature bionde e dei vestitini appariscenti, in questo io e lei andavamo d’accordo, eravamo donne, dovevamo mostrarlo, con raffinatezza ed eleganza, donne determinate, nella vita, nel lavoro. Anche l’Angela aveva insistito: “Dai Pierina, non ti vanti sempre di saper mettere in riga gli uomini negli affari di cuore? Sono sicura che pure qua dentro ti farai rispettare, aiuterai noi tutte”. L’Angela, indossava sempre dei gonnelloni lunghi azzurri o grigi e d’inverno quei golfini che io e la Mariuccia la prendevamo in giro: “Sembri tua nonna, Angela, siamo nel 1968, mica nel 1908”.

Il Trio P.A.M., Piera, Angela, Mariuccia, unite contro il Dottor Dorini, il Principale, che in fondo, ora posso dirlo, non era così malvagio come lo dipingevamo, però era un maschio, il classico maschio che “l’uomo in ufficio, la donna a casa e se proprio proprio deve lavorare che lo faccia senza troppe pretese”. Arrivava in ditta alle 8 e 30, tutte le mattine, dal lunedì al sabato, scendeva dall’Alfetta grigio metallizzata ed entrava in ufficio, il passo lento a causa dei 100 e rotti chili che si portava dietro. Noi lì, in piedi, nell’attesa di ricevere i depliant per la distribuzione e l’indicazione di quali vie dovevamo coprire. Il tutto per 85 mila lire al mese. Non era uno stipendio, quello, era un’elemosina.

Senza contare che alla fine del 1967 aveva lasciato a casa la Patrizia perché era rimasta incinta del Nello, o Lello, ora non ricordo bene il nome, senza che i due fossero sposati. L’avevo vista piangere, la Patrizia, mentre usciva dall’ufficio del Dorini, il trucco le colava dagli occhi, lei che si tamponava il volto con un fazzoletto. Me l’ero legata al dito quella porcata, la Mariuccia e l’Angela avevano avuto gioco facile ad arruolarmi. Nel gennaio del ‘69 il Dorini ci convocò tutte e 30 per dirci che il lavoro era aumentato, dovevamo distribuire dei volantini per la Ondaflex, una distribuzione capillare e ripetuta, una commessa di lavoro importante, ma che richiedeva di lavorare per quattro domeniche di fila. “Pagherà la maggiorazione?” aveva chiesto la Mariuccia e il Dorini, faccia di tolla come poche, la crapa pelata coperta malamente dal riporto, aveva risposto che non se lo poteva permettere. C’erano stati dei mugugni fra di noi, lui ci aveva congedate in fretta, voleva smorzare sul nascere ogni rimostranza. Uscite dall’ufficio avevo preso la parola, era la prima volta che lo facevo, ricordo Angela e Mariuccia osservarmi con un misto di sorpresa e di piacere. “Quel taccagno non può chiederci un impegno extra, quattro domeniche di fila, senza pagarci il dovuto e poi… è ora che assuma tutte e trenta col libretto, vi deve regolarizzare! Dobbiamo scioperare!”

E sciopero fu!

Un’intera giornata, il sabato che precedeva la prima domenica Ondaflex, domenica che ovviamente saltammo. Il lunedì mattina sentimmo slittare le gomme dell’Alfetta del Dorini che scese dalla macchina e sbatté con forza la portiera. “Vi vogllo tutte dentro!”, “In galera?” non so come, ma la risposta mi venne spontanea, in automatico. “Nel mio ufficio, Piera, nel mio ufficio!”. Non l’avevamo mai sentito alzare la voce a quel modo. Molte di noi chinarono il capo per evitarne lo sguardo, non io, non la Mariuccia, occhi dritti di sfida, cattivi, espressione seria (anche se vederlo diventare rosso dall’incazzatura con quel riporto che quasi quasi svolazzava rischiava di farmi ridere). Di nuovo congedate, appena fuori dall’ufficio, la Lella aveva detto: “Non sarebbe meglio piantarla qui, non avete sentito la sua minaccia? Ci licenzia tutte.” e di rimando l’Enrica “Tanto via noi ne trova altre che ci sostituiscono e non fanno troppe storie sulla paga e sul nero”. “Via noi col piffero che riesce in poco tempo a reclutare altre schiavette, care mie. Il Dorini ha fretta, rischia di saltare la commessa, se proseguiamo con lo sciopero lo teniamo per le palle. Ma ci pensate? Noi gli stringiamo i maroni e lui diventa sempre più rosso, gli si rizza pure il riporto dal dolore”. Una risata aveva accolto la mia battuta.

Il secondo sabato di sciopero ci vide all’ingresso della Postal Rapid con uno striscione, un lenzuolo matrimoniale oramai consunto che non usavo più a casa, con su scritto in caratteri rossi “Dorini, Dorini, sgancia quei quattrini!”. Come previsto, pure la seconda domenica di lavoro saltò. Il lunedì mattina l’Alfetta del Capo parcheggiò mesta nel cortile della ditta. Il Dorini scese, nella mano destra un fazzolettone bianco per asciugarsi dei goccioloni di sudore che imperlavano l’ampia fronte e un avanzare abbacchiato verso il suo ufficio. “Ho avuto modo di riflettere questo fine settimana… “ esordì “… in fondo penso che un po’ di ragione ce l’avete pure voi… “ un sorriso furbetto dell’Angela incrociò la mia espressione incredula… “ ho chiesto al ragionier Petronio dell’Ufficio del Personale di muoversi per la regolarizzazione delle vostre posizioni…” “… e per la maggiorazione domenicale?” chiesi “… per quella, sì... sì... certo, per quella non ci sono problemi… come è previsto da contratto.”

Una manata sul sedere mi colpì mentre lasciavamo l’ufficio del Dorini, mi voltai, era la mano di Mariuccia. “Ci avevo visto giusto, un bel trio di scassamaroni, io, te e l’Angela, proprio un bel trio di scassamaroni”, “Confermo…” la voce dolce di Angela a sostegno dell’amica “… un bel trio, ma Mariuccia, lasciamelo dire, delle tre la Piera è la più rompiballe di tutte!”

* * *

La sigla di coda della trasmissione mostra uno dietro l’altro i nomi delle persone che hanno realizzato il documentario. Non tento nemmeno di leggerli, le scritte scorrono troppo velocemente, e poi la mia vista fa cilecca, pure con gli occhiali ci vedo poco. Le orecchie no, quelle funzionano ancora, e la sigla di chiusura la sento per bene, una canzone che conosco, che mi è sempre piaciuta, mi piace la musica, ma sopratutto le parole:

E poi la gente, (perché è la gente che fa la Storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la Storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare.
La Storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La Storia non ha nascondigli,
la Storia non passa la mano.
La Storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.


 

6 commenti:

Filippo ha detto...

Gli scioperi hanno il loro perché, anche se sei di destra. Le fondamentali conquiste del sindacato sono imprescindibili, anche se oggi spesso ce ne si dimentica. Ciascuno di noi fa la sua parte nella grande macchina della storia con le proprie scelte personali. A me, ad esempio, piace l’anonimato, ciò non vuol dire che con le mie azioni non contribuisco alla storia.

Waldorf Hotel ha detto...

Astoria sono io, prego.

fracatz ha detto...

altri tempi, altri ideali e tanta fame, forse tra 3 generazioni torneranno, ma intanto NOI, nella mano, stringiamo forte il cellulare

PuroNanoVergine ha detto...

@Filippo
Anonimato però non lo confonderei con non partecipazione (alle lotte, intendo)

@Waldorf Hotel
Sono un po' confuso, pensavo che Waldorf fosse uno con dei bei baffoni neri, ma se poi sotto sotto mi è Astoria...

@fracatz
Difficile tornare al passato, temo, troppe cose sono cambiate.

L’hotel di cui sopra ha detto...

Se è confuso è colpa del corruttore ortografico. Io avevo scritto: “L’Astoria sono io, prego.”

Silver Silvan ha detto...

A proposito, che fine ha fatto? Se la finisca di battere la fiacca, ormai ne ha prese abbastanza!

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