La poltrona in pelle, beige, è spaziosa, devo allargare le braccia per poterle poggiare sui braccioli, la schiena leggermente curva, le gambe accavallate in una posizione che alla fine risulta scomoda. Ogni tanto punto i piedi e dandomi una leggera spinta all'indietro provo ad assumere una posizione più ritta, angolo di 90 gradi fra i polpacci e le cosce e fra le gambe e il busto.
Sul tavolinetto
il bicchiere di Coca Cola con ghiaccio dal quale ho finora assaporato
un breve sorso.
Nel divano a tre posti di fronte siedono Elisa e
Barbara.
È il compleanno di quest'ultima, mia compagna di
Liceo, una delle poche che a distanza di oltre trent'anni frequento
ancora, i contatti diradatesi nel tempo, mai del tutto svaniti.
Elisa
è collega di Barbara al Centro Diagnostico.
L'ho di sicuro
incrociata in un Natale di alcuni anni or sono, non ricordo con
esattezza quale. Non ho però dimenticato i suoi occhi grigioverdi,
il caschetto di capelli che termina ad altezza collo, la carnagione
diafana che contrasta con una voce roca, poco femminile. E poi... e
poi le mani, esili, minute, le dita delicate, le unghie dipinte di un
verdino che si abbina allo sguardo. Ho un debole per le sue mani, non
solo per la loro conformazione, la cura della pelle, l'assenza di
qualsiasi orpello, braccialetti o anelli (non ho chiesto a Barbara se
Elisa sia single, immagino perlomeno che non vi sia un marito,
potenziale ostacolo per una nostra ipotetica relazione), ma per il
modo che ha di esibirle. Non ricordo un'altra donna che abbia la
medesima grazia e naturalezza nel muoverle, su tutto il suo rotearle,
il polso flessibile, una flessuosità che partendo dal polso stesso
si propaga sul dorso, sul palmo, sulle dita, indice e pollice in
particolare, in un gesticolare che ha un che di ipnotico.
Elisa
commenta ridendo una gaffe di Barbara in ufficio, quando diede del
coglione al loro capo, per fortuna ex capo, tale Professor
Bertolazzi, inconsapevole che il vecchio medico fosse in quel momento
alle sue spalle e fulminasse con lo sguardo la povera Barbara (le
scuse riparatrici avevano riparato ben poco). La ascolto ricordare
l'episodio, ma fatico a porre attenzione al contenuto del discorso.
La mano destra volteggia nell'aria, la sinistra nel frattempo tiene
fra indice e medio una Marlboro, forse il fumo causa della raucedine
della voce, una presa della sigaretta altrettanto incantatrice quanto
le circonvoluzioni aeree dell'altra mano.
La Marlboro sembra
prossima a cadere a terra, tanto la presa appare flebile, ma in
realtà rimane salda nelle dita di Elisa che a un certo punto si
avvicinano alla bocca e posano fra le sue labbra la sigaretta. Dopo
aver riposto la Marlboro sul posacenere adagiato sul tavolino, la
mano sinistra cambia destinazione e tocca il caschetto di capelli
della donna per ravvivarlo.
Immagino che quella carezza
naturalmente sensuale, non vi è nulla di affettato nel gesto, possa
in un futuro prossimo scompigliare quel che rimane del mio biondo
ciuffo, partendo dall'attaccatura della fronte per risalire al centro
della testa e scendere lungo la nuca.
Potere della mente: la
sola evocazione del gesto mi dona un leggero brivido e, non so se
vergognarmi o meno, una moderata eccitazione, un principio di
erezione che le due donne, per fortuna, non possono notare.
La
mia fantasia è interrotta dal suono del campanello. Barbara si alza
per andare verso la porta, in arrivo altri invitati (il sottoscritto
ed Elisa i più solleciti a presentarsi alla festa), seguita
dall'amica che abbandona definitivamente la sigaretta nel posacenere,
avvicinandosi all'ingresso.
La seguo con lo sguardo, noto per un
istante il suo fondo schiena, i jeans aderenti lo modellano alla
perfezione, ma gli occhi si spostano per loro iniziativa di nuovo
verso le mani, nel momento in cui Elisa allunga le braccia per
salutare con calore Monica, altra compagna di Liceo. Una carezza
affettuosa sulla guancia sinistra della nuova arrivata, il dorso
della mano
di Elisa a sfiorare Monica, istantanea fantasia del
sottoscritto di essere il destinatario della carezza, sento la mia
guancia accalorarsi, forse sto arrossendo, non ho uno specchio che mi
riveli la verità. Distolgo lo sguardo da Elisa, meglio non
insistere, non cedere a un turbamento del tutto privo di aggancio con
una realtà differente (quando sono entrato nell'appartamento Elisa
si è limitata a un saluto a distanza, neppure una formale stretta di
mano ad accogliermi).
Mi incammino verso Monica, buon ultimo
dietro le altre due donne, mi avvicino e dopo averla baciata sulla
guancia, nel ritrarmi, le osservo le mani, dalle dita tozze e
ingioiellate, mani sproporzionate rispetto alla figura dell'amica,
prive dell'eleganza proibita dell'irraggiungibile Elisa. Torniamo ai
nostri posti, Monica si posiziona sul divano nella seduta centrale,
Barbara alla sinistra, Elisa alla destra. Ed è sulla sua mano destra
che torno a rivolgermi: la vedo battere ritmicamente sul bracciolo
del divano, il dito medio picchietta la pelle del sofà mentre,
sincronizzato col suo ticchettio, brevi oscillazioni del mio collo
l’accompagnano. Mi sporgo in avanti per prendere in mano il
bicchiere di Coca Cola che sorseggio. La dolcezza della bevanda
compensa, solo in parte, l’amarezza per un amore non realizzabile.
1 commento:
“ i contatti diradatesi” i contatti diradatisi
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